Esprimere o reprimere la rabbia?
La rabbia è un’emozione che nasce dentro di noi ogni volta che abbiamo la sensazione di venire sopraffatti da qualcuno o da qualcosa.
La rabbia è un’emozione che nasce dentro di noi ogni volta che abbiamo la sensazione di venire sopraffatti da qualcuno o da qualcosa.
Per affrontare la recrudescenza della pandemia e delle limitazioni che stanno impattando pesantemente sulle nostre vite, per ritrovare un po’ di serenità pur nel disagio e nelle preoccupazioni, è necessario rendersi conto di alcune dinamiche psicologiche tossiche in cui ci andiamo inavvertitamente ad avviluppare (traendone anche delle soddisfazioni malate).
Il campo delle discipline psicoterapeutiche ad orientamento psico dinamico tende a distinguere un narcisismo “sano” da un “narcisismo malato”.
La questione dell’efficacia della psicoterapia assilla non soltanto coloro che si accostano ad essa, mossi dall’ansia di venire a capo dei loro problemi, ma parimenti angustia gli stessi addetti ai lavori, sempre in bilico fra successi e fallimenti terapeutici.
In questi giorni di grande chiusura, in cui in molti si trovano in difficoltà perché a tu per tu con un grande vuoto di parole, un antidoto veramente potente è costituito dalla lettura.
Molti malesseri psicologici oggigiorno si connettono ad una scarsa coscienza di sé stessi e delle dinamiche elementari che regolano la vita, dando luogo frequentemente a circoli viziosi di erranza e sbandamenti.
La famiglia è strutturalmente “oppressiva”, nella misura in cui i genitori, anche i più illuminati, inevitabilmente tramite l’educazione introducono dei limiti e trasferiscono convincimenti e modalità di comportamento che non sempre si adattano al meglio alla natura dei figli.
Il prezzo da pagare dell’approccio moderno alla depressione, che la riconosce come una malattia da curare esclusivamente con i farmaci confidando nella possibilità della sua eradicazione completa, è la sua cronicizzazione.
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Nell’ascolto della sofferenza depressiva si possono cogliere delle sfumature specifiche che riguardano rispettivamente gli uomini e le donne.
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“Naturalmente sono anche filofobico” mi disse una volta “en passant” un paziente, mentre cercava di chiarire la natura composita dell’angoscia di cui pativa nelle relazioni e l’effetto invalidante che essa aveva nella sua vita.
Un buon lavoro di analisi ha sempre come effetto indiretto un certo ridimensionamento delle aspettative nei confronti degli altri. Esso non va inteso come sviluppo di un atteggiamento disincantato (e al fondo risentito) del tipo “non mi aspetto più niente da nessuno”. In quel caso avremmo una rinuncia alla possibilità di fidarsi del prossimo, cosa che non rientra certo negli scopi di un lavoro su se stessi.
Il rapporto che una donna intrattiene con il proprio corpo non è mai del tutto sereno, anche quando esso rientra nei canoni di bellezza oppure è oggetto di ammirazione da parte dell’altro.
Non esiste psicoterapia senza lamento. Fatto ovvio, scontato. Chi chiede aiuto sta male, chi sta male si lamenta. Il lamento tuttavia può essere transitorio, legato a fatti oggettivamente traumatici, oppure cronico, andando a costituire una vera e propria patologia ai limiti della trattabilità.
Molta parte dei malesseri psichici resta invisibile agli occhi di osservatori poco attenti o semplicemente impauriti da quello che potrebbero scoprire in primis in se stessi.
Franco de Masi, nel suo libro “lavorare con i pazienti difficili” dà voce ad un movimento interno alla psicoanalisi contemporanea, volto a metterne in discussione gli strumenti tradizionali in vista della comprensione e del trattamento di strutture mentali non classicamente nevrotiche.
“Poi” , “ora è impossibile”, “lo farò domani” sono espressioni tipiche del “temporeggiatore”, ovvero di colui che utilizza la procrastinazione come modalità per (non) affrontare un conflitto. Messo alle strette rispetto ad un atto che potrebbe essere risolutivo di una qualche impasse, egli opta per non fare nulla, crogiolandosi nel mondo del possibile.
Una difficoltà che gli analisti di oggi si trovano di fronte è un certo uso della parola diffuso nella contemporaneità, improntato all’iper concretezza e all’appiattimento sui fatti. Esso a sua volta riflette una modalità di pensiero sempre meno capace di staccarsi dall’evidenza, nonostante le sollecitazioni e gli aiuti offerti da un analista fattosi attivo e partecipe.
La volubilità, intesa come tendenza a cambiare umore e intenti in maniera più o meno repentina, è un attributo che spesso si associa a personalità creative, curiose, irrequiete, bisognose di stimoli e suscettibili a cambiare prospettiva sulle cose e sulle persone.
Il rifiuto, anche quello più ostinato, freddo o rancoroso spessissimo nasconde una domanda disperata d’amore e una profonda paura d'amare. Chi utilizza tale modalità all’interno dei rapporti amorosi ne è come soverchiato, sa che non porterà nulla di buono eppure non ne può fare a meno.
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Alcuni passaggi dei Seminari di Tavistock di Bion colpiscono ogni volta che vengono ripresi in mano per la chiarezza e l’apparente semplicità con la quale descrivono ciò che accade davvero in una seduta di psicoanalisi, sia nella mente del paziente che in quella dello psicoanalista.
“Io, figlio di mio figlio” (l’ultimo libro di Gianluca Nicoletti edito recentemente da Mondadori), a differenza dei precedenti più centrati sull’autismo del figlio Tommy, si concentra sulla tardiva scoperta da parte dell’autore dei propri tratti autistici.
Otto Kernberg nel suo “Relazioni d’amore” si interroga sulle differenze in amore fra la così detta “normalità”e la patologia psichica vera e propria, ricostruendo alcune dinamiche francamente malate riscontrabili nelle relazioni amorose fra soggetti che soffrono di disturbi di personalità.
Alan Badiou, nella nota intervista con Nicolas Truong, dà inizio alle sue riflessioni sul tema dell’amore partendo dal fenomeno contemporaneo dei siti di incontri.
“Anima e Animus” fa parte del “L’Io e l’inconscio”, testo redatto da Carl Gustav Jung nel 1928 e primo tentativo di esposizione sistematica della sua “psicologia analitica”.