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Le ricchezze della timidezza

A questa capacità di imporsi sulla scena quasi mai si associano anche sostanza e spessore. Chi prevarica, chi sgomita, chi si mette in evidenza viene notato non per cosa dice ma per la sicurezza con cui si esprime e si atteggia. Non è nemmeno detto che piaccia e che riscuota un effettivo successo: di fatto però appare, e questo semplice elemento lo pone in una condizione favorevole rispetto ai suoi interlocutori più riflessivi e attenti ai contenuti.

Ma siamo sicuri che questo vantaggio sia poi così significativo? Che non si traduca in successo di superficie e di breve durata? Essere estremamente trasmittenti, comunicatori, vivaci, iper estroversi cattura sulle prime, seduce, ma espone anche al rischio di annoiare, di risultare pesanti, scontati. Chi parla molto, chi riversa il suo essere sugli altri come un libro aperto, alla lunga infastidisce, perché non da' il giusto spazio all'altro, non lo valorizza, comunicandogli la sensazione di essere trasparente, non degno di interesse. Inoltre è facile che commetta delle gaffes, poiché la sua lettura dell'altro, spesso molto rapida e superficiale, lo porta a non inquadrare con precisione chi ha davanti.

Il timido dunque, se è difficile che sia d'impatto in una conversazione, in un contesto sociale, non necessariamente avrà meno successo di un estroverso, semplicemente incorrerà in difficoltà diverse. Essendo chiuso e riservato, ci mette più tempo ad aprirsi e a dare evidenza della sua interiorità, generalmente molto profonda e ricca. Spesso viene anche scambiato per un individuo snob e presuntuoso, iper selettivo nelle relazioni e freddo. Una volta entrati in contatto con lui, superata la barriera, diventa però facile accorgersi che la sua natura differisce dall'immagine che comunica. Ad un apparente distacco emotivo corrispondono al contrario sensibilità e passionalità, tenute a freno da una proverbiale capacità di controllo che, se da un parte ne limita la spontaneità, dall'altra ne fa però anche un soggetto stabile e in grado di non essere capricciosamente sbatacchiato dalle pulsioni del momento.

Le ricchezze della timidezza sono allora davvero tante e sempre di più vengono apprezzate a vari livelli, al di la' dello stereotipo culturale che associa sfrontatezza e successo. Sul lavoro per esempio la capacità ricettiva del timido, la sua sensibilità verso l'altro, la sua abilità nell' ascolto e nell' osservazione lo rendono prezioso nella gestione dei delicati rapporti con clienti e collaboratori. Inoltre la sua riflessività e capacità introspettiva lo premiano in tutte quelle professioni che prevedono doti analitiche e creatività. Nell'amore, il saper valorizzare l'altro, la curiosità vera e spassionata nei suoi confronti, la profondità di lettura che non sfocia mai in giudizio, lo predispongono a una comunione autentica e a tratti "mistica".

Certo, la timidezza a volte, quando è molto marcata, quando si associa a una forte inibizione, fa soffrire chi la vive, andandone in certi casi a limitare pesantemente le possibilità espressive. Dietro a questa ipertrofia del controllo vi possono essere fattori legati a un'infanzia vissuta in un ambiente familiare molto repressivo e soffocante. In questi casi un lavoro psicoterapeutico può lentamente autorizzare una distensione di tale assetto difensivo, andando a sciogliere piano piano dei nodi rimasti irrisolti. Di sicuro non trasforma il timido in un estroverso, ma ne tempera piuttosto la componente auto invalidante, favorendo una messa in valore della ricchezza e dell'unicità insite in una personalità un po' diversa dai canoni ma viva e presente.

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Esistono infatti un narcisismo "sano" ed uno "malato". Il primo non è altro che amor proprio, coscienza di sè, rispetto e cura per se stessi. È, freudianamente parlando, un equilibrato investimento libidico sull'io, necessario alla vita. Freud parlava di un "narcisismo primario" del piccolo dell'uomo, necessariamente chiuso nel suo guscio per sopravvivere e svilupparsi, avvolto in un bozzolo di bisogni e di indifferenza rispetto al mondo esterno.

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