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La malattia "normotica"

Chi può dirsi del tutto esente dall'incontrare delle empasse in rapporto alle esigenze della realtà? È poi così " patologico" avere una ricca vita interiore? Certo, se quest'ultima si sviluppa in maniera tale da sostituirsi integralmente a ciò che sta fuori la gravità della situazione è fuor di dubbio. Entriamo infatti nel mondo della psicosi. Esiste tuttavia un' altra forma patologica, altrettanto grave ma meno facilmente identificabile, che appare figlia del meccanismo esattamente opposto: l' eccesso di adeguamento alla realtà che schiaccia e azzera qualsiasi interiorità.

Christopher Bollas, un noto psicoanalista inglese, la chiama "malattia normotica". Il normotico, al contrario dell'alienato "classico", tutto ritirato nel suo mondo, è perfettamente adeguato all'ambiente. Ma lo è troppo. È talmente ancorato alla realtà percepita oggettivamente da non essere più per nulla in contatto con la sua soggettività, che finisce così per essere completamente cancellata. Il suo essere si svuota, diventando un oggetto materiale fra i vari prodotti manufatti che lo circondano.

Una persona normotica è dunque anormalmente normale. È troppo stabile, troppo sicura, troppo estroversa. Non ha sbalzi d'umore e appare eccezionalmente stabile e sana. Si interessa solo dei fatti oggettivi, lasciando perdere tutto ciò che ha a che fare con l' introspezione e l'immaginazione. Generalmente misura il valore delle persone nei termini di quantità di oggetti posseduti. Non è in grado di sviluppare una vera intimità con un altro essere umano, per cui le sue relazioni sono caratterizzate dal reciproco racconto delle cose avvenute, dalla cronaca piuttosto che del vissuto soggettivo. L' amore e l' amicizia sono molto simili ai suoi acquisti, non chiamano in causa la sua interiorità.

Dove cominciano i problemi per questo individuo anormalmente normale? A prima vista si potrebbe dire che la sua superficialità lo protegga efficacemente dal dolore e dalla sofferenza. Saremmo portati a pensare ad un' esistenza al riparo da inciampi e malesseri. A ben vedere invece le cose non stanno proprio così. Nel corso di una vita è infatti impossibile sottrarsi del tutto dall' incontro con circostanze che spingono a vivere esperienze davvero toccanti, quali ad esempio la morte di una persona cara, la malattia, la perdita di un lavoro, l'amore. Il normotico sulle prime tenta di fronteggiarle nella sua solita maniera, concentrandosi sui fatti e rifugiandosi in slogan e frasi fatte. Ma può accadere che queste difese crollino, lasciandolo del tutto sprovvisto di strumenti per elaborare ciò che gli sta accadendo. Non sapendo come si fa a fronteggiare un problema di natura affettiva e trovandosi alle prese con uno sgretolamento dei suoi usuali sistemi di controllo, ricorre ad espedienti esterni che lo aiutino ad anestetizzarsi. Lo vediamo ad esempio rifugiarsi nell'alcol o nell'iperattività.

Solo quando le compensazioni del normotico vengono meno si evidenzia in maniera plateale il suo disagio, coperto efficacemente dalla tuta mimetica della sua normalità. Bere, ammazzarsi di lavoro, dedicarsi compulsivamente allo sport, ricorrere massicciamente all'uso di psicofarmaci o droghe sono dei modi con i quali tenta di richiudere la voragine aperta in lui dall'essere interpellato come soggetto. Certe situazioni ed esperienze infatti costituiscono un cimento e un dolore per tutti, ma chi riesce a farvi fronte senza soccombere completamente ce la fa perché può attingere ad una ricchezza interiore che a questi soggetti manca completamente.

Ecco perché raramente chiedono aiuto, non ne hanno motivo, vivendo per l'appunto una vita assolutamente normale. Quando lo fanno è perché sono alle prese con il crollo. Cercano l'aiuto di un analista per trovare un modo per sentirsi reali o per simboleggiare una sofferenza che a loro arriva solo sotto forma di senso di vuoto. Il terapeuta li aiuterà allora a sviluppare nel tempo un loro tratto soggettivo, idiomatico, in modo da rendere superflue o meno rigide le loro barriere difensive.

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