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Gli scacchi della "caccia" alla felicità

Andare a "caccia" di felicità genera perenne insoddisfazione. L'ambita preda  sfugge puntualmente ad ogni volontà di cattura, ad ogni moto di appropriazione. I celebri versi di Herman Hesse svelano questa verità, per lo più  nota ai clinici e a tutti coloro che si accostano alle faccende umane: fin quando dai la caccia alla felicità, non sei maturo per essere felice, anche se quello che più ami è già tuo.

Gran parte dell'infelicità lamentata nelle cure riguarda la frustrazione di non avere più, o non avere ancora, quel qualcosa in grado di assicurare una pienezza senza crepe. Grande illusione, visto che nulla e nessuno possono suturare la mancanza costitutiva che divide tutti quanti. Non a caso, una volta raggiunto il tanto bramato obiettivo, l' appetibilità  della meta crolla come un castello senza fondamenta. Allora ecco un nuovo stimolo, il gioco ricomincia daccapo, in una ripetizione infinita. 

La riflessione di Jacques Lacan è illuminante per cogliere profondamente questi fenomeni. Li definisce "immaginari", ovvero frutto di una dinamica primitiva di immedesimazione confusiva e totalizzante con l'immagine splendente dell'altro simile. Nella misura in cui l'immagine dell'altro è fondamentale per reperire l'identità di se stessi e dare l'illusione di consistenza (fenomeno strutturale nella prima infanzia ma mai del tutto superato nell'adulto) anche ciò che possiede l'altro va posseduto.

 La frustrazione e la gelosia hanno qui la loro radice: un oggetto reale che si trova altrove è caricato della potenzialità di ricomporre la fragile tenuta identitaria del soggetto. Ma la soddisfazione del possesso è transitoria quanto illusoria: l'insufficienza si ripresenta perché di per sè incolmabile.

La brama di qualcosa, a ben vedere, non è il desiderio. Nella poesia di Hesse sembrano termini sinonimi ma non lo sono del tutto. Per la psicoanalisi lacaniana il desiderio d'altro, d'altra cosa, è simile alla brama, ha un lato distruttivo e dissipativo, mentre il desiderio dell'Altro con la A maiuscola indica un'altra soddisfazione, più piena e duratura di quella schiava dell'oggetto.

È il riconoscimento che viene dall'Altro grande, dall'alterità umana in quanto tale, sono l'amore, la stima, il "sì" umanizzante e senza condizioni a far sperimentare una soddisfazione non più immaginaria ma "simbolica". Seppur simbolica e dunque impalpabile, slegata dal possesso, questa soddisfazione è potentissima, tocca e fa vibrare il corpo. Fa sentire  qualcosa dell'ordine della felicità. 

Anche la semplice percezione del fatto che nell'Altro c'è un desiderio sgancia dalle dinamiche di immedesimazione reciproca, uniformanti e fonte di conflitto. L'Altro vuole altro, è desiderante "punto e basta", è vivo, libero, in movimento,  sfuggente, mai del tutto catturabile, mai riconducibile all'Uno. 

Anche quando ama, anche quando c'è, quando è fonte di riconoscimento, quando dona il segno d'amore, non c'è mai del tutto, è mancante, é sempre un po' altrove, è sempre Altro. Per questo motivo la felicità, se non viene  dall'oggetto ma dall'Altro in quanto fonte di soddisfazione simbolica, non può al tempo stesso  nemmeno interamente dipendere da lui. 

Al fondo la poesia di Hesse allude a questo volto dell'Altro che non esiste, questo Altro bucato. La felicità così  si sgancia da ogni fonte di gratificazione esterna, che sia l'oggetto o l'Altro, per abbracciare la dimensione della pace, della solitudine suprema, della pura contemplazione. 

Il superamento e il ridimensionamento delle dinamiche immaginarie, fondamentalmente infantili, segnala l'ingresso nella maturità.

Non si tratta di rinuncia a fare, a realizzarsi o a dedicarsi alle proprie passioni. L'invito sembra essere un altro: fare spazio, accogliere l'incompiutezza strutturale dell'umano senza combatterla, senza negarla nella rincorsa del trionfo immaginario dell'Io, dell'immagine splendente o dell'amore ideale. 

Allora un incontro, una piccola cosa, un evento insignificante, presi nella loro essenzialità, possono caricarsi di sorprendete bellezza e trasmettere un delicato senso di connessione. Allora le onde dell’accadere non ti raggiungono più.

 

Felicità 

Fin quando dai la caccia alla felicità,
non sei maturo per essere felice,
anche se quello che più ami è già tuo.

 Fin quando ti lamenti del perduto
ed hai solo mete e nessuna quiete,
non conosci ancora cos’è pace.

Solo quando rinunci ad ogni desiderio
e non conosci né meta né brama
e non chiami per nome la felicità,

Allora le onde dell’accadere non ti raggiungono più
e il tuo cuore e la tua anima hanno pace.

Herman Hesse

Poesia e psicoanalisi