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L'incontro con il desiderio secondo Lacan

Lacan è uno psicoanalista che parla di desiderio. Non tanto del desiderio a cui sembriamo tutti assuefatti, quello del possesso di oggetti, ma della spinta vitale che anima ciascun uomo. E che sta dietro alle nostre parole, ai nostri atti, ai nostri dubbi. Rimane lì, velato, silente, inconscio e in alcuni momenti salta fuori, si rivela pienamente in un lapsus, un atto mancato, un sogno.

Il desiderio è la parte più intima di un uomo e nello stesso tempo la più sconosciuta a lui stesso. È quella forza che non si placa con la soddisfazione, è come dice Lacan “condizione assoluta”. Non si accontenta di oggetti materiali o del conseguimento del successo.

Chi accoglie e riconosce il suo desiderio può sperimentare delle privazioni, può andare incontro a difficoltà, al rischio del fallimento, ma nel profondo è vivo, creativo, aperto all’imprevedibilità della vita e alle sue possibilità.

Il desiderio è personale per ciascuno di noi, è la parte più singolare di un essere umano, è ciò che ci rende unici, tutti diversi, particolari, interessanti. In lui abita la nostra soggettività, il tratto che ci fa apparire inconfondibili.

La realizzazione del proprio desiderio va incontro a degli scacchi. Possono prendere la forma dell’insoddisfazione perpetua, cronica. Non ci va mai bene niente, tutto e tutti sembrano essere insufficienti. Si tratta di una forma di rifiuto con cui cerchiamo di tenere viva la dimensione del desiderio, che però ci condanna all’infelicità, all’impossibilità di tradurre in atto un’aspirazione.

Un altro ostacolo frequente alla realizzazione del desiderio è la sua distruzione attraverso la rinuncia. Pevale il senso di paura, di impotenza, di fatica. “Tanto è tutto inutile”, “non ce la farò mai” sono frasi che spesso diciamo e che fanno da alibi ad un atteggiamento di fondo passivo e rinunciatario.

Per Lacan l’assunzione del proprio desiderio è una questione etica. “Cedere sul proprio desiderio” ci dice è “un peccato”, una “viltà morale”. Spesso la depressione clinica ha una radice di questo tipo, nasce dall’aver voltato le spalle ad un’aspirazione, una vocazione, un talento. Tirando in ballo scuse comode ma paralizzanti. Lasciandoci come consolazione uno sterile lamento.