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Attacchi di panico notturni

Per alcuni è la notte il momento in cui un certo malessere psichico si fa sentire. Di giorno esso resta silente, invisibile come un’alienata creatura intollerante alla luce e agli sguardi. Segregata in casa, essa al calar delle tenebre sguscia fuori dal suo nascondiglio, scatenando una furia nascosta e repressa, seminando terrore nell’oscurità.

Cieche urlano nel buio le sue vittime. La morte le sorprende, è lì, imminente. Un baratro inaggirabile, uno strappo violento, un annientamento nel nulla. Pochi secondi ed è finita, il tempo di avvertire la deflagrazione nel corpo e poi tutto tacerà per sempre.

Panico e morte

Al contrario di chi muore davvero a seguito di un’aggressione reale, di una coltellata o di un infarto, all’attacco di panico si sopravvive. Ma quel terrore chi l’ha provato non lo dimentica, lo teme e oscuramente lo ricerca al tempo stesso, rischiando di infilarsi in un circolo vizioso di ripetizione. Non a caso in genere si parla di attacchi al plurale; come uno sciame sismico dopo il “big one” gli episodi si susseguono con intensità variabile.

Le caratteristiche dell’attacco, che giunge sempre come un fulmine a ciel apparentemente sereno, possono variare. Per alcuni si blocca il respiro, per altri è il cuore che scoppia, per altri ancora si spacca  lo stomaco ecc…Ciò che resta di comune a tutte le forme è la percezione di un “fuori controllo” totalizzante. Il corpo non risponde più, la mente perde la sua funzione di comando, come un pilota in balia di un aereo impazzito, in procinto di precipitare.

L’attacco di panico mette dunque davanti agli occhi la morte. Se manca tale vissuto si deve parlare più genericamente di ansia o di angoscia. Sensazioni sicuramente penose, che implicano un vacillamento della coscienza di sé ma che tuttavia non contemplano un arresto brusco  e ingovernabile di tutto il sistema mente corpo.

In genere il panico frattura il tran tran giornaliero, impedendo lo svolgersi di attività banali. Può anche associarsi nello specifico ad una particolare situazione, legandosi ad atteggiamenti fobici di evitamento. Nel tentativo di schivarlo si sta alla larga dalla circostanza in cui si è verificato, scambiandola erroneamente per la causa del problema. Il risultato è un moltiplicarsi di divieti, confini autoimposti che alla lunga limitano pesantemente le esperienze e le possibilità  che può offrire la vita.

La causa del panico va cercata  non nel contesto in cui ha luogo ma nell’esistenza della persona che ne è vittima. Qualcosa dell’ordine della mortificazione, della separazione e dell’inermità è stato vissuto nel passato per poi magari venire riattivato da qualche evento recente.  Ma esso non è mai stato davvero digerito e metabolizzato pienamente.

Un frammento di morte torna reclamando attenzione. Una sorta di cedimento eclatante allo sforzo della coscienza di sorvegliare un dolore troppo grande.

Panico notturno

Chi soffre di attacchi di panico notturni di solito ha una forza dell’Io maggiore di chi ne resta preda durante il giorno. Forte e battagliero nel fronteggiare la vita, nell’unico momento in cui si trova disarmato (ovvero in quello dell’abbandono al sonno) egli è come se venisse assalito da tutti i nemici che era riuscito a dominare a colpi di bastone durante la veglia.

Ecco uno dei tanti motivi per cui la forza dell’Io di per sé non è una risorsa davvero così vincente per affrontare i dolori. Solo da un punto di vista esteriore il forte si regge in piedi nelle difficoltà  senza battere ciglio, senza risentirne. In realtà  ne risente eccome,  il prezzo che deve pagare è una sorta di incapacità di lasciarsi andare in tutte le situazioni che richiedono una qualche nudità, un essere scoperti e vulnerabili. La visita da parte del panico nelle ore notturne segnala questa logica.

La modalità classica di auto terapia del terrore notturno è in prima battuta l’insonnia. Il fanatico del controllo, aggredito per l’appunto nel momento di una sua sospensione, tende infatti a procrastinare o a impedirsi  il sonno per scongiurare il pericolo della caduta nell’imboscata del panico. Reagisce con una modalità fobica, evita la situazione anziché porsi delle domande più profonde. Oppure le domande se le fa ma poi preferisce fermarsi, ritenendo che tanto niente e  nessuno possa davvero aiutarlo.

Trattamento

La terapia psicoanalitica invece può fare molto sul panico, anche quello più nascosto nelle pieghe della notte. Trattandosi di  un evento  che indica il ritorno di un qualche “reale” traumatico non sufficientemente assorbito dalla psiche, il lavoro che può proporre un analista non si focalizza sul fenomeno in sé ma va a spaziare in altri ambiti. Si cercheranno le ferite ancora aperte, solo superficialmente cauterizzate, nel tentativo di inquadrarle in una narrazione.

A tal fine è molto importante la valutazione delle difese dell’Io. Un io molto fragile, permeabile, impressionabile e pertanto soggetto a venir sopraffatto e spazzato via dall’onda non riceverà un trattamento identico ad uno forte, così cementato da raccontare il problema del panico notturno come fosse un nonnulla, un dettaglio infondo irrilevante.

Il trattamento psicoanalitico si configura così ancora una volta anche nella cura del panico come una prassi non seriale, che mette in valore le differenze individuali al di là del conformismo livellante  del sintomo.

La sua finalità non è una generica liberazione dal dolore, ma più un addestramento a riconoscerlo, a non sotterrarlo e a tenerlo con sé. Imparando a sostarci, ad averci a che fare senza negazioni e senza venirne distrutti

Ansia patologica