Un'analisi non punta semplicemente a sciogliere i sintomi, va ben al di là di una pura risoluzione sintomatica. Quest'ultima è certamente contemplata, tuttavia non è assicurata a priori, in quanto si verifica come effetto di un lavoro che tocca altre corde e che implica un soggetto attivo, non passivamente in attesa di una soluzione che provenga dall'Altro. La psicoanalisi infatti non aggredisce frontalmente il malessere come un nemico da sopprimere, ma lo interroga, ne accoglie le ragioni, gli dà dignità di esistenza.
L’ascolto non coincide con l’assenza di parola, non basta che il terapeuta taccia perché si produca l’effetto dell’ascolto. L’ascolto non è nemmeno l’attenzione minuziosa nei confronti di tutto ciò che viene detto.
“The son”, recente film drammatico diretto da Florian Zeller, tocca un tema delicatissimo, quello del ruolo giocato dalla famiglia di origine nella determinazione e nel mantenimento del disagio psicologico adolescenziale.
L’adhd oggi è considerata come una sindrome vera e propria, cioè come una “deviazione dalla norma” dai contorni precisi e dalle possibilità di cura standardizzate.
“Amor fati”, concetto elaborato dalla filosofia stoica e ripreso da Nietzsche, significa letteralmente “amore del fato”. Qualsiasi esso sia, anche il più ingiusto e terribile.
Ansia e attacchi di panico differiscono per molti aspetti: nell'ansia si tratta di una manifestazione dell'inconscio, mentre gli attacchi di panico costituiscono un crollo violento e improvviso delle difese psichiche.
Parlare di adolescenza in questo periodo storico non è per nulla facile, nella misura in cui questa condizione sembra essersi dilatata a dismisura, fino a coprire l’intero arco della vita.
L’ansia, nonostante sia una condizione che tutti noi riconosciamo al volo quando ci siamo dentro, si manifesta in mille modi e con mille motivazioni diverse.
Decidersi, prendere una posizione, capire cosa faccia al caso proprio, non restare perennemente schiavi delle attese degli altri o fermi nell’insoddisfazione, cambiare e sperimentare sono sicuramente atteggiamenti alleati della salute psichica.
“Analisi terminabile e interminabile”: è da questo scritto testamentario di Sigmund Freud (1937) che Elvio Fachinelli parte nel suo “Claustrofilia” (1983) per introdurci gradatamente verso la sua “trovata”, ovvero l’esistenza della così detta “area claustrofilica”.
Nessun percorso prestabilito può insegnare a crescere come persone; si possono seguire pedissequamente tutti i passi suggeriti da manuali ed esperti di coaching e sviluppo personale ma non smuoversi di un millimetro a livello profondo.
Chiedere aiuto ad uno psicoterapeuta non è mai un atto semplice, nella misura in cui esso comporta da un lato la preliminare ammissione di fronte a se stessi di una fragilità, dall’altro la disponibilità a comunicare tematiche intime e delicate a qualcuno che non si conosce.
Le pratiche che promettono di guarire dalla depressione ( e di raggiungere la calma, la “pace interiore”, il benessere e la serenità) come lo yoga, alcune discipline motorie, le scienze dell’alimentazione o la stessa psicoterapia, oggi sono divenute di gran moda.
Il ricordo del passato può essere dolorosissimo, così come la consapevolezza dei condizionamenti, dei torti e degli abusi subiti nelle relazioni intime (famiglia di origine o relazione con il partner).
La paura tocca tutti gli esseri umani, in sè non è patologica, ma costituisce un’emozione ancestrale che entra in gioco ogni volta che ci troviamo in pericolo di vita.
Periodi difficili, momenti di smarrimento, circostanze luttuose fanno parte dell’esperienza comune ad ogni uomo e pertanto non sono da considerare di per sé come eventi patologici.
Se è intuitivo riconoscere nei silenzi e nella tristezza le tracce del male di vivere, meno immediato è associare rabbia e depressione.
L’infanzia quasi sempre è il tempo in cui iniziano a depositarsi i germi di un malessere psichico che si svilupperà successivamente nella giovinezza e poi nell’età adulta.
Un interrogativo angoscioso che muove molte domande di aiuto nella contemporaneità ruota attorno alla questione della perdita o dell’assenza tout court della così detta “forza interiore”, da intendersi non riduttivamente nell’accezione di mera forza di volontà ma più ampiamente in quella di robusta energia vitale.
“Sono sempre stato un bighellone” mi ha detto recentemente un paziente con un certo tono di auto rimprovero durante uno dei primi incontri.
Il prezzo da pagare dell’approccio moderno alla depressione, che la riconosce come una malattia da curare esclusivamente con i farmaci confidando nella possibilità della sua eradicazione completa, è la sua cronicizzazione.
L’esperienza dell’abbandono, anche quando vissuta da adulti, si accompagna sempre ad una quota di dolore.
Egoismo ed egocentrismo sono termini spesso utilizzati in maniera imprecisa o come sinonimi.
Quando si affrontano situazioni complesse o fuori dall’ordinario (malattie, separazioni, perdita del lavoro, lutti ecc…) è quasi inevitabile incorrere in momenti di sconforto o in reazioni emotive spropositate.
Ai nostri giorni è molto diffusa la concezione che l’equilibrio psicologico corrisponda con la “normalità”, ovvero con l’aderenza a desideri, pensieri e comportamenti tipici dell’uomo “medio”.
Il termine “esaurimento nervoso” viene genericamente utilizzato per denominare tutte quelle situazioni in cui una persona (che magari fra alti e bassi si è sempre barcamenata nella vita) cessa all’improvviso di “funzionare” in modo appropriato.
I risultati di un lavoro psicoterapeutico possono arrivare in breve tempo, oppure richiedere mesi e anni per stabilizzarsi e rendersi pienamente visibili.
Lo psicoanalista è qualcuno che è chiamato a "sopravvivere" alla distruttività dei suoi pazienti. È il grande insegnamento di D. W. Winnicott ma anche dello stesso Jacques Lacan. Entrambi si riferiscono alla posizione di fondo di uno psicoanalista nella cura, il suo essere cioè intimamente distaccato dalle dinamiche affettive di amore odio, speculari, immaginarie tipiche delle relazioni duali, e nello stesso tempo autenticamente vivo, presente, sveglio, "francamente amorevole" e "francamente in stato di avversione".
Il setting terapeutico è un dispositivo clinico complesso. Esso non si limita a identificare la semplice struttura organizzativa delle sedute (orari, luogo, durata) ma assume una valenza più profonda.
I così detti “ipersensibili”, spesso artisti o persone altamente creative, sono soggetti che vedono e sentono sfumature e sottigliezze che agli altri di norma sfuggono.
Il termine ipocondria si riferisce ad un disturbo psichico in cui al centro prevale la preoccupazione di aver contratto una grave malattia, in assenza di vere ed oggettive evidenze a riguardo.
Una persona empatica “sente” le emozioni degli altri ed è in grado di costruirsi una "teoria della mente" del suo interlocutore.
La malattia non impedisce a nessun essere umano di amare e di essere amato, anzi, la sua presenza ingombrante è in grado di rivelare in maniera impietosa la profondità e l’autenticità dei sentimenti fra due persone.
In generale tutte le scienze umane attribuiscono ai sogni un valore particolare.
L’analista, affinché l’analisi abbia un reale potere trasformativo, secondo Winnicott (si veda “L’uso dell’oggetto e l’entrare in rapporto attraverso identificazioni” in “Gioco e realtà”) va “usato” da parte del paziente come un oggetto collocato fuori dall’area dei fenomeni soggettivi. Che significa?
Il termine depressione maggiore viene utilizzato per indicare uno stato depressivo di rilevanza clinica, invalidante e di forte intensità, che può durare pochi giorni (configurandosi come un episodio isolato) fino a numerose settimane (stato depressivo cronico).
La “mente estatica”, testo di Elvio Fachinelli pubblicato nel 1989, è una fonte preziosa di ispirazione sia per i clinici che per chi si accosta alla psicoanalisi, nella misura in cui contrappone “difesa” e “accoglienza”, vedendo in quest’ultima la vera forza in grado di sciogliere il conflitto nevrotico.
Non esiste psicoterapia senza lamento. Fatto ovvio, scontato. Chi chiede aiuto sta male, chi sta male si lamenta. Il lamento tuttavia può essere transitorio, legato a fatti oggettivamente traumatici, oppure cronico, andando a costituire una vera e propria patologia ai limiti della trattabilità.
Per la psicoanalisi, al pari di ogni vero e interessante approccio all'umano, ogni soggetto sintomatico resta sempre altro rispetto alla sua malattia. La diagnosi è uno strumento utile, di cui il clinico si avvale per classificare, riconoscere e dunque dare un nome al disagio che affligge una persona.
I gruppi terapeutici tendenzialmente si incontrano una volta alla settimana, per una sessione della durata di circa un'ora e mezza. In genere si tratta di piccoli gruppi, dai cinque agli otto partecipanti.
La psicoterapia non è un trattamento standard che si adatta a tutti gli individui a prescindere dalle loro caratteristiche.
La guarigione dai sintomi non è l’obiettivo diretto di una psicoterapia.
Una difficoltà che gli analisti di oggi si trovano di fronte è un certo uso della parola diffuso nella contemporaneità, improntato all’iper concretezza e all’appiattimento sui fatti. Esso a sua volta riflette una modalità di pensiero sempre meno capace di staccarsi dall’evidenza, nonostante le sollecitazioni e gli aiuti offerti da un analista fattosi attivo e partecipe.
Nella pratica clinica ritroviamo sempre un legame stretto fra depressione e pensieri ossessivi. In alcuni casi i sintomi di natura ossessiva sono conseguenza della depressione, in altri è la depressione stessa ad ingenerarli ed annoverarli fra le sue manifestazioni.
Negli ultimi decenni lo psicofarmaco è diventato uno strumento sempre più presente nei percorsi di cura della sofferenza emotiva. Ma qual è il suo ruolo quando la cura farmacologica si associa alla cura dell'anima? È davvero un aiuto o rischia di interferire con il processo terapeutico?
Si deve a Peter Fonagy, noto psicoanalista ungherese, la ripresa e l’utilizzo del termine “mentalizzazione” per indicare la capacità umana di riconoscere i propri stati interiori (emozioni, desideri, intenzioni, aspettative, limiti, potenzialità ecc…)e specularmente quelli altrui.
Un’inquietudine diffusissima soprattutto fra i trentenni di oggi (ma non mancano casi di soggetti di età superiore ai quaranta) è la paura dell’intimità.
La molla che porta quasi sempre a chiedere aiuto ad uno specialista è la presenza di un sintomo o di una costellazione di malesseri più o meno invalidanti, a volte percepiti come disturbanti corpi estranei oppure come parti della propria (complessa) personalità.
La depressione è un disturbo dell'umore caratterizzato da una tristezza costante, che non se ne va con accadimenti piacevoli, e da una perdita di interesse per qualsiasi attività, anche la più amata. La manifestazione di questo "mal di vivere" avviene tramite sintomi psicologici e fisici e varia da individuo a individuo. In genere il funzionamento lavorativo e sociale della persona colpita viene gravemente compromesso.
Il biopic sulla vita di Gianna Nannini “Sei nell’anima”, uscito da poco su Netflix, senza volerlo intenzionalmente racchiude un insegnamento prezioso sulla cura del disagio mentale che ogni terapeuta o familiare dovrebbe aver presente nell’accostarsi alla persona in crisi.