La relazione a senso unico
Una delle situazioni che spesso spinge a chiedere aiuto psicoterapeutico è il trovarsi invischiati in relazioni frustranti, fortemente sbilanciate dal punto di vista emotivo, senza tuttavia riuscire a trovare la forza di uscirne.
Si tratta delle così dette dipendenze affettive, in cui domina un pertinace attaccamento ad un partner sfuggente, incostante e sostanzialmente concentrato su se stesso.
Le donne sono le più inclini a tale modalità “masochistica” ma non mancano nemmeno casi in cui è la controparte maschile a trovarsi in seria difficoltà.
Perché le donne sono le più invischiate?
A causa dell’educazione, di fattori culturali e di predisposizioni innate il genere femminile è portato alla cura, al contenimento e all’empatia.
Il materno si sovrappone facilmente al femminile, finendo per impattare anche all’interno delle relazioni di coppia. Gli stessi uomini, pur amando le donne forti ed indipendenti, in campo amoroso tendono a regredire, comportandosi spesso in maniera infantile e richiedente cura e attenzioni.
In amore l’uomo si può rilassare, si può spogliare dei panni di quello che non deve chiedere mai, e può mostrare la sua parte più vulnerabile e bisognosa.
Fino a quando la colorazione del rapporto di coppia in senso materno non esclude la reciprocità e non soffoca la sessualità tutto rientra nella normalità; se i ruoli sono interscambiabili e anche la donna ha la possibilità di regredire senza sentirsi giudicata e di giocare un po’ allora nulla di male.
Tale sana reciprocità si instaura tuttavia non a caso ma per volontà di entrambi. Infatti quando l’uomo sistematicamente non si dimostra in grado di “dare” dal punto di vista affettivo, la donna sufficientemente sicura di sé e del proprio valore si allontana, decretando la fine della dinamica sbilanciata.
Ma se persiste lo schema per cui lui è l’oggetto indiscusso delle cure (perché lunatico, incostante, vulnerabile e profondamente autoriferito) e lei è sempre lì, pronta a capire, giustificare, sacrificarsi e ingoiare bocconi amari allora le cose si mettono male.
Le cause profonde
E qui il discorso si fa del tutto unisex, nella misura in cui entrano in gioco vulnerabilità personali che poco hanno a che fare con l’identità di genere.
Essere disposti a sopportare personalità ingombranti, di qualsiasi sesso siano, fino al sacrificio di sé, sottende sempre nell’infanzia una figura genitoriale che è stata particolarmente invadente e poco rispettosa.
Essa ha inculcato involontariamente nella prole l’idea di “meritarsi” un ruolo subalterno nelle relazioni.
Il genitore tendenzialmente “bipolare”, ovvero inarrivabile, grandissimo, super smart ma al tempo stesso anche estremamente vulnerabile e bisognoso ha un impatto schiacciante sui figli. Creando in loro un mix di insicurezze e di propensione all’aiuto tali da contribuire all’associazione inconscia fra il sentimento dell’amore forte e vero e quello di inferiorità, di nostalgia luttuosa e riparativa.
Nei rapporti con l’altro sesso queste persone vengono istintivamente attratte da personalità originali ma poi disturbate, verso cui si propongono ingenuamente come salvatori, senza mettere a fuoco la ripetizione verso cui vanno incontro e valutare adeguatamente le conseguenze di lungo termine.
Colui che dispensa cure si ritrova così inchiodato nella posizione di crocerossina/o e ogniqualvolta tenta di rivendicare attenzioni o di sospendere gli aiuti ottiene indifferenza, noncuranza o reazioni rabbiose e ostili.
Nel tempo incamera sofferenza e frustrazione, alternando periodi di impotenza e depressione a crisi emotive parossistiche, queste ultime destinate ad esaurirsi in un inconcludente trascinarsi, senza decisioni o tagli netti.
La psicoterapia
La terapia viene chiesta molto spesso con un obiettivo non chiaro nemmeno alla coscienza di chi domanda. Ovvero: “come posso cambiarlo?” .
Pur stando male, spesso malissimo, chi resta intrappolato nella relazione d’amore unilaterale ad un livello più nascosto, enigmatico e per certi versi insondabile sta bene, è lì che vuole stare. È come se vivesse, si nutrisse della personalità del compagno, accettando la completa dipendenza da lui e dai suoi capricci.
Egli in realtà fa fatica a percepirsi come un essere distaccato e completo di suo, perché psicologicamente ancora dipendente dal genitore problematico ma supposto “superiore e vitalizzante”.
La personalità in questi casi non è maturata completamente, sotto molti punti di vista permane una fanciullezza resistente alla crescita, al bagno di realtà. L’attesa che sia l’altro a donare la felicità, l’ebbrezza, il brivido, incastra e fa sopportare tutto, anche le peggiori mancanze di rispetto.
Per questo è essenziale che nella cura si arrivi a mettere a fuoco queste dinamiche sottostanti.
Altrimenti il rischio è quello di spingere qualcuno a compiere delle decisioni che non solo non è in grado di assumere ma che non vuole nemmeno fare.
Piuttosto il percorso terapeutico potrà essere riconosciuto come un’occasione non tanto per cambiare l’altro ma per riscoprirsi, per far emergere un vero sé (quando presente, almeno in potenza) rimasto imprigionato sotto le macerie di un passato mai davvero problematizzato e rivisitato in maniera critica.
La rinascita del sé, se così si può dire, può preludere a scelte di rottura o al contrario conservative, là dove la personalità ritrovata sarà in grado di stimolare delle modificazioni anche nel partner e nella dinamica sbilanciata che bloccava lo sviluppo di entrambi.