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L'insuccesso

C’era chi non perdeva mai e chi perdeva sempre, rimaneva indietro. Poi la vita rimescolava le carte e magari l’ultimo finiva per affermarsi mentre il più popolare si perdeva strada facendo. Oppure l’ultimo rimaneva ultimo e il primo primo. In ogni caso l’ombra del fallimento accompagnava le loro vite, sia come rischio sempre possibile o come triste realtà con cui fare i conti quotidianamente. Condannando entrambi all’angoscia e alla rivalità esasperata con il vicino.

Il mito della prestazione ha intriso l’educazione di chi oggi è adulto. E rischia di continuare a influenzare le nuove generazioni. Perché è un mito pericoloso? Perché lo è ancor più al tempo presente, con la crisi economica che falcia le aspettative di benessere a lungo coltivate?

L’idea dell’uomo come macchina performante, strutturalmente programmata per la produzione e il benessere, comporta alcune conseguenze. Intanto se la macchina è “sana” allora funziona bene. C’è un’equivalenza fra salute e funzionamento. Sono sano se sono prestante. Si possono dunque fissare dei parametri che misurano il grado di salute e quindi di resa della macchina. Ecco allora le varie categorie a cui siamo abituati: le competenze sociali, la proattività, l’ottimismo, la dominanza, il controllo, la resistenza allo stress, ecc…Nel momento in cui non rispondo più adeguatamente alle attese previste bisogna che mi faccia curare, aggiustare. Per potermi poi riadattare alle esigenze dell’ambiente.

Ciò che la psicoanalisi intende ribaltare è proprio questo assioma salute = buon funzionamento, adattamento alle richieste ambientali. Non si tratta di aggiustare il meccanismo inceppato, ciecamente, senza andare a vedere le ragioni per cui si è bloccato. La rottura, lo strappo, l’insuccesso appunto, non vengono repressi. Piuttosto sono valorizzati, perché fanno emergere l’umanità, la soggettività, la particolarità dell’uomo non assimilabile a nessun sistema, macchina o categoria.

La psicoanalisi ci aiuta a svegliarci dal sonno in cui siamo immersi, quello costituito dalle strade già ordinate e programmate per noi. Dai miti a cui saremmo supposti aspirare in quanto uomini “sani” e “adattati”. Lo scacco, l’umiliazione, il fallimento appaiono sotto questa luce come delle possibilità per riscoprire chi siamo e cosa vogliamo davvero nel profondo. Non dunque una rinuncia allo stare al mondo ma una scoperta di una personale misura della felicità. In quanto tale possibile anche nei momenti di crisi economica.

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Esistono infatti un narcisismo "sano" ed uno "malato". Il primo non è altro che amor proprio, coscienza di sè, rispetto e cura per se stessi. È, freudianamente parlando, un equilibrato investimento libidico sull'io, necessario alla vita. Freud parlava di un "narcisismo primario" del piccolo dell'uomo, necessariamente chiuso nel suo guscio per sopravvivere e svilupparsi, avvolto in un bozzolo di bisogni e di indifferenza rispetto al mondo esterno.

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