Natale consumistico o Natale di Gesù?
Il Natale, come si sa, nel modo di vivere occidentale ha perso qualsiasi connotazione spirituale. Ormai si può considerare a tutti gli effetti una festa “pagana”, in cui vengono adorati degli idoli più che onorato il mistero.
Il Natale consumistico
La gente si riversa nelle vie dello shopping e si rallegra per la così detta “atmosfera natalizia” , un misto di attesa, di puerile eccitazione alimentata da lucine, pacchetti, fumi di caldarroste e canzonette americane.
A Natale si fa festa, arrivano le sospirate vacanze, magari sulla neve, e poi cenoni e serate mondane, camini accesi, abbondanza, bei bambini e buoni sentimenti.
Chi può spendere e partecipare dell’allegria collettiva “come si deve” si sente potente, a proprio agio e saldamente identificato a ciò che è buono e giusto.
La festività mondana infatti rigonfia ancor di più l’orgoglio di colui che possiede (soldi, famiglia, beni, socialità) mentre frustra e riempie di amarezza chi nella vita arranca, barcamenandosi per non affondare.
Chi è solo, ha difficoltà economiche e non può permettersi una cena speciale o una vacanza, se non può contare su un ancoraggio interiore a valori forti, soffre più del solito. Patendo, oltre al peso del quotidiano, anche il senso di esclusione da un’umanità lieta e sicura.
L’orgia natalizia riempie e illude chi ha mentre svuota e immalinconisce chi non ha. Quando il sipario si chiude i primi stanno peggio (precipitando nuovamente dal mondo fatato al mondo reale) mentre i secondi avvertono un senso di sollievo, come se le ingiustizie sociali fossero mitigate dal ritorno collettivo alla schiavitù del lavoro.
Ma gli effetti del Natale consumistico sul piano psicologico non si limitano alla regressione al narcisismo puerile e all’abbuffata bulimica (a cui segue, immancabile, il vuoto depressivo).
La gente è costretta dalla tradizione ad una sorta di recita sociale, sia nella sfera parentale che amicale. In famiglia soprattutto si sperimenta una prossimità tossica che non può essere problematizzata, e che ciascuno tenta di contenere come può.
I più abili riescono a dribblare conflitti e ostilità più o meno latenti, coprendo il tutto con un po’ di vernicetta (data dalla santa pazienza o dall’identificazione ad una sorta di elite). La famiglia, spesso luogo di tensioni e infelicità, è vissuta da alcuni persino come l’ennesima “cosa” da sfoggiare, magari nelle foto sui social in cui tutti esibiscono falsi sorrisi smaglianti.
I meno capaci, quelli con meno mezzi, meno auto controllo o spirito di classe finiscono mani e piedi in disastrose liti familiari, oppure incassano commenti svalutanti di cui si ricordano con rammarico per anni.
Il quadro idilliaco del clan unito e solidale che si riunisce con gioia svela la sua misera natura di prodotto del marketing natalizio, strumentale alla vendita di prodotti di consumo (i balsami contemporanei per l’infelicità)
Il Natale di Gesù
Come sopravvivere a tutto ciò, sia che si abbiano i mezzi economici per tuffarsi nel delirio collettivo, sia che non se ne posseggano abbastanza?
La risposta si potrebbe cercare nel vero significato del Natale, pur da non credenti.
Anche un ateo o uno scettico può beneficiare intimamente della “buona novella”.
La nascita di Gesù Cristo rappresenta per tutti un messaggio di speranza, bello in se stesso.
Gesù è l’immagine della vita che non si riduce ad abbuffata, possesso, cinismo e depressione.
È un’altra possibilità per l’uomo. È l’amore che salva, che lenisce il dolore, che dà spessore e profondità alla nostra imperfetta e mortale esistenza.
È la semplicità del gesto che accoglie, dello sguardo che non giudica, del vedere col cuore e non con l’avidità degli occhi.
È riconoscimento della propria miseria umana, l’accettazione del dolore e della privazione non come disgrazia senza rimedio ma come mezzo per connettersi saldamente alla propria e altrui umanità, alle cose essenziali, alla creatività autentica e al senso di meraviglia.
Il Natale di Gesù è dei poveri, dei malati, dei diversi. Di coloro che sono più vicini al mistero dell’esistenza.
Impariamo ad onorarlo anche se non crediamo!