Il panico: un fenomeno contemporaneo già scoperto da Sigmund Freud
Nel mio lavoro di psicoterapeuta e psicologo a Milano incontro spessissimo in chi chiede aiuto il panico, un fenomeno che, in virtù della sua diffusione, viene ormai generalmente considerato come una malattia della modernità.
Il panico assale più facilmente l’uomo contemporaneo rispetto ai suoi antenati, poiché si trova a vivere in una società che promuove il valore assoluto della libertà individuale. L’emancipazione dai rigidi schemi di condotta del passato offre sicuramente a tutti noi la possibilità di poter disporre pienamente della nostra vita. Ma nello stesso tempo ci confronta con un vuoto di ideali e di valori solidi che facciano da argine rispetto alla nostra capricciosità e volubilità.
Ne deriva una crescita dell’individualismo sia nella sfera sociale che affettiva. Non siamo più certi della lealtà di un collega o della stabilità di un legame. Viviamo un po’ nella precarietà del “finchè dura”. Siamo ossessionati dall’idea di dover essere sempre “al top” in tutti i campi, per non perdere attrattiva e non essere isolati. Se i vecchi principi repressivi di una volta sono venuti meno, si affermano però nuovi diktat ferocemente omologanti: sii bello, sii giovane, sii performante!
Ecco, il panico che uno psicologo rileva a Milano, è proprio legato a questa precarietà. Alla paura di rimanere indietro, di restare soli. Può insorgere sia nel momento di maggior successo e realizzazione (poiché è proprio allora che la paura di perdere tutto si fa più forte) oppure dopo un fallimento, una separazione, una perdita. In quest’ultimo caso si sperimenta la sensazione di andare alla deriva, di non avere più il conforto che l’ala grande del legame affettivo ci garantiva.
Abbiamo dunque spiegato perché il panico sia così diffuso nella società contemporanea e perché uno psicologo che lavora in una città come Milano lo incontri così spesso.
Non dobbiamo però pensare che cent’anni fa non esistesse. Freud nei suoi primi scritti già ci forniva delle descrizioni molto accurate dei fenomeni di panico, ne descriveva il carattere di “scarica”, di “attacco”, di “fulmine a ciel sereno” che noi oggi conosciamo così bene.
Freud considerava il panico una “nevrosi d’angoscia”. Alcune “psiconevrosi”, soprattutto l’isteria, mostravano frequentemente dei sintomi analoghi a quelli delle nevrosi d’angoscia, proprio per la facilità dell’angoscia ad esprimersi sotto forma organica, con sintomi centrati sul corpo (rigidità , contrazioni muscolari, mal di pancia, tachicardia ecc…). I conflitti di natura psichica trovavano così un canale somatico per palesarsi.
Questa considerazione non è da sottovalutare nel momento in cui si parla di panico. Se oggi è forse la manifestazione clinica che più si presta a dare voce alle paure dell’uomo moderno, non significa che dietro ad esso non si rintraccino delle motivazioni di natura psichica molto intime e personali, differenti per ciascun individuo.
La psicoanalisi insegna infatti a riconoscere la natura sociale di un sintomo (che lo rende tipico di un determinato contesto storico e geografico come ad esempio quello trattato da uno psicologo a Milano) ma anche quella intrapsichica. Per comprendere quest’ultima bisogna sempre andare a vedere da vicino la storia singolare di chi soffre.