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Psicoanalisi ed esperienza del reale

La persona acquisisce conseguentemente una nuova consapevolezza di sè e delle ricadute derivanti dal proprio modo di interpretare la realtà, viziato da preconcetti e paure. Il grado di coscienza raggiunto le permette di resistere alla precipitazione in atti o decisioni al fondo autolesivi, lasciando il posto a soluzioni più equilibrate. I tempi del pensiero si allungano, la capacità di simbolizzazione si rafforza, la possibilità di fronteggiare eventi sfavorevoli con rinnovata energia mentale e senso di prospettiva acquista concretezza.

Una psicoterapia, che dunque lavora apertamente con la finalità di incidere sul "qui ed ora" per rafforzare la capacità di reazione personale ad eventi stressanti, può essere più o meno contaminata dalla psicoanalisi, fino a trasformarsi completamente in una cura analitica. Che significa tale contaminazione?

La psicoanalisi interviene ogniqualvolta il terapeuta è aperto a dare spazio alla dimensione inconscia del suo paziente. Un ascolto psicoanaliticamente orientato c'è e rimane anche quando la portata della sofferenza è così presente da rendere necessario un intervento supportivo e di convalida dell'essere della persona in difficoltà. Uno psicanalista infatti sa operare con il riconoscimento dell'altro senza scivolare in una de responsabilizzazione del soggetto, sa essere di conforto senza ridurre l'altro ad un oggetto che si sottopone passivamente alle cure.

Il limite connaturato al lavoro psicoterapeutico "puro" è una certa superficialità dei risultati raggiunti, perché la dimensione inconscia del paziente non viene agganciata. Tutto si risolve in un potenziamento dell'io, frutto dell'attività del terapeuta più che di quella del paziente. Se il curante è troppo attivo, spinto dall'esigenza di aiutare concretamente il suo assistito, rischia di sostituirsi a lui, producendo una sua passivizzazione. Gli effetti terapeutici potrebbero essere così frutto di suggestione, cioè dell'influenza esercitata dalla persona del terapeuta, oppure derivare da una sorta di "educazione", di insegnamento. Il soggetto imparerebbe certe cose che gli vengono trasmesse su un piano cognitivo, razionale ma non profondo, in assenza di un coinvolgimento di altro tipo. Tutta la questione si risolverebbe in un maggiore adattamento alla realtà senza che l'inconscio venga minimamente toccato, senza cioè che la questione del desiderio soggettivo venga interrogata. Cosa vuoi tu? Ti è successo questo e quello ma tu cosa desideri veramente? Che parte giochi nel profondo nell'insieme di fatti di cui ti lamenti e che ti fanno soffrire? Quale vantaggio inconscio ne trai? Qual è la tua verità? Qual è il reale che ti riguarda intimamente?

Ora una psicanalisi tiene conto di tutte queste domande, opera indirettamente per favorirne l'emersione. Come? Attraverso il silenzio. Lo psicoanalista, anche quando è più supportivo e quindi più vicino alla posizione dello psicoterapeuta, è sempre in ascolto. Lascia la palla nelle mani dell'altro, lascia a lui la parola, il compito di esprimersi. Non dà consigli, non dà giudizi, non dà insegnamenti. Ascolta. E anche quando si autorizza alla parola la usa sempre nel rispetto dell'altro, per esempio limitandosi a mettere in luce con l'interpretazione un più di senso racchiuso nel discorso del paziente.

Ascoltare dà un posto all'altro, ma dando un posto parallelamente dà anche una responsabilità. Grazie all'ascolto riconoscimento, supporto, vicinanza umana sconfinano nella responsabilizzazione e nella solitudine più radicale. Mentre considero il soggetto come dotato di libertà ed irriducibile a qualsiasi formula ingabbiante, mentre lascio spazio alla formulazione delle sue verità, mentre faccio questo lo sto parallelamente investendo della responsabilità dei suoi detti e delle sue azioni, lo sto lasciano solo di fronte a se stesso.

Così si aggancia davvero un soggetto alla cura. Il che, toccando corde profonde sebbene invisibili, produce inevitabilmente una quota di angoscia. Ciascuno di noi, posto di fronte al proprio reale, non può non incontrare l'angoscia, reazione che accompagna sempre la perdita delle coordinate con le quali inquadriamo abitualmente la realtà.

Allora il decentramento, il cambiamento di punto di vista di cui si diceva a proposito della psicoterapia saranno il risultato non di una pedagogia da parte del terapeuta, non di un adeguamento alle sue aspettative di guarigione ma di un attraversamento del proprio "fantasma inconscio" operato dal paziente stesso, oramai "analizzante" attivo più che analizzato.