Scelta consapevole o sterile impulso?
Si possono etichettare erroneamente come “impulsive” scelte drastiche e in controtendenza rispetto alle aspettative sociali così come si possono scambiare per “consapevoli” atti conformi ai non valori dei tempi attuali, che in realtà però sottendono solamente una sorta di “riflesso”, un tentativo di sfuggire all’angoscia legata ad una particolare condizione.
La decisione “consapevole” non è quindi riconoscibile sulla base della sua repentinità e della radicalità delle conseguenze associate. A livello esteriore cioè essa può inizialmente somigliare in tutto e per tutto ad un movimento senza criterio, senza riflessione. Il processo elaborativo che porta ad una rottura rispetto allo status quo resta invisibile, ne è a conoscenza solo chi lo vive in prima persona o chi si trova in un rapporto di vera intimità con colui che compie l’atto.
Nel lungo tuttavia anche da un punto di vista esteriore le differenze si fanno notare.
Scelta consapevole
Chi osa coraggiosamente e non avventatamente si rivela in grado non solo di pianificare coscientemente l’atto, di sostenerne successivamente il peso e i costi, ma anche di costruire, di creare qualcosa che prima non esisteva o veniva nutrito solo nelle fantasie. Alla distruzione di un mondo segue la rinascita di uno nuovo, più conforme ad aspirazioni ed esigenze personali.
Dunque tempo di incubazione, precipitazione dell’azione, resistenza e spinta creativa sono gli elementi essenziali per portare a termine qualsiasi progetto non velleitario, che nasce non solo dal sogno e dall’insoddisfazione ma anche da una visione concreta della vita, che tiene conto della sua asprezza e della necessità di un equipaggiamento adeguato fatto di forza e fiducia.
Il coraggioso non è qualcuno che improvvisa. C’è stato un tempo in cui si è messo alla prova, in cui si è conosciuto anche nei suoi limiti e ha scoperto fino a che punto poteva contare su se stesso. In famiglia può non essere stato incoraggiato nei suoi talenti; non infrequentemente è stato tacciato di impulsività, specie se l’ambiente di provenienza era dominato dalla paura e dal conformismo.
Spesso la capacità di prendere decisioni vitali per se stessi ma in rottura con le attese ambientali è proprio frutto della crescita in un ambiente claustrofobico, quando naturalmente la reazione ad esso è produttiva. Il rischio infatti è quello di venirne fagocitati, così come accade a chi si adegua supinamente al già dato o al rovescio tenta di liberarsene tramite azioni sconsiderate.
Sterile impulso
Il temerario, al contrario del coraggioso, gioca d’azzardo. Può accadere che qualche volta vinca ma, dato che la fortuna non assiste infinitamente nessuno, prima o poi cadrà, facendo molto male a se stesso e a chi lo circonda.
Il dramma di chi si muove sulla base degli umori (che possono andare dalla depressione, all’angoscia, all’esaltazione euforica) non è solo quello di essere sprovvisto di una visione di lungo e dunque di esporsi ad inevitabili eventi avversi, ma anche e soprattutto quello della ripetizione.
Si tratta di persone che sostanzialmente non sono capaci di apprendere dall’esperienza ma vivono collezionando disastri su disastri. Anche quando tentano di risolvere le conseguenze di una situazione già compromessa dalla loro stessa condotta scriteriata continuano ad applicare la stessa modalità di pensiero superficiale, orientata alla liberazione della tensione. Attanagliati da un male interiore invisibile usano l’azione come psicofarmaco. “O la va o la spacca” è il motto di molti, che così facendo si lanciano solamente nel vuoto sprovvisti di paracadute.
Non di rado il paracadute, lungi dall’essere una risorsa psichica, diventa una persona in carne ed ossa. L’impulsivo cioè esibisce inizialmente un atteggiamento spavaldo; poi, dopo la caduta, è fragile e vulnerabile e, anziché analizzare il proprio comportamento, cerca qualcuno a cui attaccarsi e che gli risolva la situazione.
Trovare l’appiglio per questi individui è salvifico e mortale al tempo stesso. Salvifico nella misura in cui li tira fuori concretamente dai guai, mortale perché saranno ben presto pronti da capo a lanciarsi in ulteriori imprese fallimentari.
Azioni di questo genere, “evacuative” piuttosto che “creative” , sono spesso la controparte dell’impotenza psichica. Come l’euforia maniacale, anche l’impulsività si configura come una terapia di un profondo senso di depressione e di vuoto.
Personalità oppresse, contratte, mai realmente maturate ad un certo punto “esplodono”, cercano di “guarire” dalla paralisi psichica scompaginando le carte, “facendo” qualcosa, come bambini incuranti di tutto alla ricerca dell’agognato giocattolo che darà loro finalmente la felicità.
Guariranno se riusciranno ad agganciare un barlume di consapevolezza e a prenderlo sul serio, senza gettarselo dietro le spalle, senza farsi la classica, fatua risata di auto compiacimento tipica del bambino che l’ha combinata grossa.