L’arte terapia
l valore terapeutico dell’arte è indubbio, sia sul piano della fruizione che della produzione in prima persona dell’opera. Purtroppo quando si pensa all’arte troppo spesso si fa riferimento ad un concetto astratto e lontano, oppure ci si ancora alle mode e a quello che propone il mercato.
Le resistenze
Da una parte l’arte viene inconsciamente collegata ad un mondo elitario, ad un esercizio intellettuale e noioso; dall’altra la si inserisce in agenda come un evento, un happening come un altro, restando chiusi emotivamente all’incontro.
Dove risiede allora il suo vero potenziale di cura? E come fare a scoprirlo? In molti infatti sono convinti di essere sprovvisti di senso artistico, il che impedirebbe loro di apprezzare l’arte altrui e tanto meno di produrne della propria. Sicuramente il talento e la predisposizione verso certi linguaggi agevolano in tale senso, ma la vera arte, quella non artefatta, ha una capacità di sfondamento enorme, se solo la si lascia entrare.
Vincere le resistenze è dunque il primo passo per avvicinarsi all’esperienza artistica, che, va ribadito, non necessita di nessuna dote in particolare, di nessuno studio, di nessuna preparazione preliminare. Ciò che conta unicamente è la modalità di approccio, sfortunatamente inquinata per tutti dai condizionamenti sociali e culturali. C’è chi non va in un museo se non ha prima studiato dettagliatamente di cosa si tratta, o al contrario chi ci si butta dentro senza osservare e sentire nulla, pur vedendo tutto e magari commentando profusamente.
Lavorare sul proprio modo di accostarsi all’arte è strettamente connesso al successo della sua capacità di donare sollievo; d’altro canto è così per tutto, anche per la stessa psicoterapia. Nessuna cura può venire interamente dall’altro, bisogna porsi in primo luogo in una posizione ricettiva, curiosa, priva di condizionamenti ed aspettative.
Allora si capisce che dall’altro non arriva nulla, direttamente: siamo noi che, avvicinandoci ad un’opera, cominciamo a raggiungere anche a noi stessi e a vederci, a fare esperienza di quello che ci accade fuori dall’obiettivo attraverso cui usualmente categorizziamo e inquadriamo la nostra realtà.
La liberazione
Tale scoperta avviene in maniera assoluta con l’arte, sia essa la pittura, la musica, la scrittura, la danza ecc… Si dice che l’arte sia liberatoria, ed in effetti è così.
Ma tale liberazione accade a partire dall’incontro con la propria individualità più profonda (a cui l’oggetto artistico involontariamente rimanda) e il conseguente effetto più o meno transitorio di scollamento delle difese che irrigidiscono e inibiscono la sensazione del fluire del tempo, il senso dell’esserci, l’emotività più viva, l’energia vitale stessa.
Ogni oggetto d’arte, se di arte si tratta, si presta a questa dinamica di rispecchiamento; ha una sua autonomia eppure è in grado di aprire il mondo dell’altro, è particolare e universale insieme. Questo fatto appare in fondo come il punto di giuntura fra “fare” arte e beneficiarne: chi la fa ne giova nel mentre ci si dedica ed è così che le dona quel quid che innesca il gioco anche in chi ne gode solo come spettatore o uditore.
L’artista, quando è al lavoro, non esprime se stesso. Anche questo è un altro luogo comune difficile da sfatare. Esprime qualcosa, ma non sa da dove venga, il suo non è un semplice atto individuale.
Non ha in mente qualcosa che esattamente realizzerà così come la ha pensata a priori. L’opera gli sfugge di mano, assume dei contorni propri, si alimenta e si costruisce nel mentre viene prodotta, all’interno di un rapporto quasi carnale.
Entro certi parametri formali che ne limitano ma al tempo stesso stimolano la sfida rappresentativa, l’attività dell’artista si sgancia dalla volizione e perfino dall’immaginazione stessa. La mente si svuota completamente e restano solo il linguaggio e il gesto, che prendono il sopravvento con un’intenzionalità che supera quella cosciente dell’artista.
Ne deriva l’esperienza del “flusso”, che è quella della concentrazione pura dimentica di tutto, uno stato di grazia profondamente liberatorio in cui il tempo è sospeso e le sofferenze, le consuete ossessioni e frustrazioni mollano transitoriamente la presa.
L’arte terapia
L’arte terapia, in alcuni casi ancora utilizzata soprattuto per la cura di patologie mentali gravi, deve i suoi benefici a questo meccanismo di distacco, di estraniamento dalle follie e di benessere psichico guadagnato, che nei casi difficili può rivelarsi addirittura miracoloso in termini di stabilizzazione.
Come tutte le cure, anche l’arte va dosata con cautela. Come ogni farmaco, se se ne prende troppo si rischia di stare peggio. Ad essa si può consegnare tutta l’esistenza solo se si hanno le spalle molto larghe ed equilibri solidi. Di per sé totalizzante, l’arte può consumare: l’effetto di temporanea abolizione del tempo, di per sé alleggerente, se spinto oltre può precipitare in distacco dalla realtà e delirio.
Sarebbe interessante estendere l’arte terapia ai casi meno gravi di sofferenza mentale; anche le nevrosi ne beneficiano enormemente, se però non ne fanno una posa, un vanto o una seccatura da portare avanti svogliatamente.
L’arte è interessante per il nevrotico perché lo stana, lo porta fuori dal suo recinto di difese, lo costringe ad un tu per tu con i suoi “non riesco, non posso, non sono bravo ecc…” di cui si lamenta cronicamente ma a cui non vuole rinunciare.
Sposta il godimento dal piano del sintomo a quello della sublimazione. E, come insegnava Freud, la sublimazione è una soddisfazione pulsionale tout court, sebbene non sessuale.
Se il nevrotico avrà talento andrà incentivato ad approfondire, qualsiasi siano le obiezioni e gli impedimenti a riguardo; il guadagno nei termini di ritrovata soddisfazione e vitalità sarà innegabile se il piano narcisistico di performance verrà superato in nome della ricerca interiore e dell’accrescimento del grado di coscienza.
I meno dotati potranno esercitarsi come “beneficiari”, sempre una volta toltesi le bende delle opinioni prive di giustificazione razionale.
In entrambi i casi i processi attivati in psicoterapia verranno rinforzati, con l’effetto di una diminuzione nel tempo di inibizioni e insoddisfazioni croniche.