Perché il desiderio fa paura
Tale concezione permea in effetti la società in cui viviamo, perché concepisce l’uomo come una creatura che per sua natura sa cosa vuole e come arrivarci. L’uomo sicuro di sé, “assertivo”, è colui che persegue i suoi obiettivi con passo sicuro e deciso. Il tentennamento, l’indecisione, l’irresolutezza sono bollate come tendenze negative se non addirittura patologiche. Di fatto emerge una gran confusione fra l’Ego e il desiderio, un appiattimento cioè della dimensione inconscia, profonda su quella cosciente. Che si traduce in rifiuto di ciò che sfugge alla presa della volontà e che enigmaticamente si oppone al suo programma. L’inconscio è il nome di questo inciampo che disarciona la padronanza e il desiderio vi affonda le sue radici.
Il vero desiderio infatti non coincide né con la volontà dell’Io né con i suoi capricci. Non è un desiderio di cose, di oggetti, di potere, di confort. E’ una dimensione che va oltre, che ha a che fare con la stessa spinta vitale che ci fa sentire il senso della pienezza della nostra vita. E’ passione, è mancanza, è spinta a realizzare sogni, spesso etichettati dal nostro entourage come impossibili. Per questo il desiderio si mette di traverso rispetto alla volontà, è sovversivo perché va controcorrente nei confronti di ragionamenti di “buon senso”, rinunciatari e uniformanti sui vari diktat sociali. Se viviamo una vita che non è all’unisono con il nostro desiderio avvertiamo insoddisfazione, siamo assaliti da mille sintomi, incontriamo fallimenti, in una parola veniamo tormentati da un tarlo invisibile, che esige perentoriamente il nostro ascolto.
Ma dicevamo che il desiderio crea tentennamenti, fa paura. Seguire il proprio desiderio non è una passeggiata, una cosa semplice, senza impedimenti. Davanti all’oggetto del desiderio ci si angoscia. Si è presi poi da dubbi, indecisioni. Lo psicoanalista francese Jacques Lacan valorizza l’angoscia, in quanto la vede come una spia preziosa che ci indica la presenza del nostro desiderio. L’angoscia tocca il corpo, lo fa vibrare. Indica un punto di certezza, di verità. Se mi angoscio davanti a lei o a lui è perché mi attrae, perché tocca delle corde. Se mi angoscio davanti alla possibilità di cambiare lavoro è perché devo farlo. L’essere umano però in risposta alla raccapricciante certezza dell’angoscia tende a scappare. A ricercare il confort di una vita magari insoddisfacente ma tranquilla. A sfuggire l’incontro con il nuovo, con il non ancora visto e non ancora vissuto. Con la vertigine dell’ignoto. E così contrappone ogni sorta di dubbio. Ma il dubbio non è l’angoscia, è solo una via per tentare di aggirare la verità che ci indica. Mentre agire, dice sempre Lacan, è un modo per strappare all’angoscia la sua certezza.