Ripetizione e convergenza in analisi
A parte il beneficio transitorio dato dallo sfogo verbale, a cosa serve parlare da soli a qualcuno che non si conosce e che per lo più tace? Intanto il fatto di non conoscere l’analista ha un indubbio vantaggio: la sua estraneità ci permette di ridurre la nostra paura di essere giudicati e ci favorisce nel dire realmente tutto ciò che ci passa per la testa. L’atteggiamento silenzioso consente inoltre l’accoglienza della nostra parola: veniamo finalmente ascoltati. Non solo, iniziamo a farlo davvero anche noi. Stranamente cominciamo a prestare attenzione a ciò che diciamo, a intravedere il peso e le implicazioni di verità in quanto stiamo tirando fuori. Dal flusso del “bla bla” di una parola tendenzialmente vuota si circoscrivono progressivamente delle zone di densità particolare: è la parola piena, ricca di sapere circa il modo in cui funzioniamo. Non è dunque il terapeuta a produrre oracoli su di noi, ma siamo noi a farlo. Lui si limita a mostrarci i punti di verità del nostro discorso e a restituirceli in forma più compiuta e articolata attraverso delle interpretazioni o degli atti. In questo modo progrediamo nella conoscenza autentica di noi stessi.
Il nostro dire va dunque incontro ad una operazione di riduzione, che avviene in due modi. Da una parte abbiamo la ripetizione: la massa di parole finisce con il lasciar venire alla luce degli elementi che ritornano, si ripetono. E’ proprio lì che incontriamo qualcosa che ci dà informazioni preziosissime sui nostri meccanismi inconsci. Per esempio, parlando degli scacchi della nostra vita sentimentale, diciamo che tutti i nostri partner hanno avuto in comune una caratteristica ben precisa, magari quella dell’infedeltà. Ci accorgiamo che siamo stati noi a sceglierli sulla base di questo attributo, dunque in un certo modo siamo andati noi stessi a cercare la sofferenza di cui ci lamentiamo! Possiamo poi scoprire come l’infedeltà sia un frammento che ci riconduce al primo oggetto d’amore (la madre) e dunque rappresenti qualcosa di irrisolto nei confronti di questa figura. Attraverso la ripetizione siamo giunti a circoscrivere una questione fondamentale nella nostra vita.
Oltre alla ripetizione un altro meccanismo che agisce sul discorso e che riduce all’osso le nostre questioni è la convergenza. Parlando i nostri enunciati tendono a convergere su uno fondamentale, che racchiude alcune espressioni che sono state dette nel corso della nostra vita infantile. Si scopre che molte delle cose che ci sono successe sono una conseguenza di questi detti, con i quali ci siamo identificati. Ad esempio può esserci stato ripetutamente detto nella nostra infanzia “Devi!” oppure “Sarai sempre questo!” oppure delle parole insignificanti che per qualche misterioso motivo si sono incistate nel nostro psichismo inconscio. Queste frasi, che in psicoanalisi chiamiamo “significanti padroni”, hanno determinato il nostro destino, le nostre scelte o il modo con cui ci approcciamo agli altri.
Alla luce di quanto detto, la sfida di un’analisi risiede semplicemente nell’elucidare la ripetizione o nel circoscrivere le parole che hanno determinato il nostro destino? La risposta è no. Non basta sapere, capire per cambiare posizione. Perché vi sia cambiamento bisogna fare un passo successivo, cogliere e poi cedere il godimento che tutto questo ha inconsapevolmente apportato alle nostre vite. Il godimento inconscio, il tornaconto paradossale fissato a questa ripetizione o a questo “significante padrone” va visto e poi lasciato andare. Deve accadere che vi sia un disinvestimento libidico, che la nostra libido si rivolga altrove. Che cioè si trovino punti di soddisfacimento più sani, che apportino meno sofferenza.
Perché questo accada ci vuole tempo, tempo per dire e ridire, e fiducia nel lavoro che si sta facendo. Non esiste una guarigione rapida, così come non esiste un lutto rapido. Nel campo dell’umano il tempo e la pazienza sono necessari affinchè ogni distacco possa compiersi.