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Quando l’azione diventa patologica

“Azione” è una parola molto apprezzata e carica di valenze positive nel contesto culturale in cui viviamo.

In esso l’azione è elevata allo statuto di “soluzione” rispetto al mal di vivere, tanto che molti terapeuti che usano tecniche “comportamentali” la suggeriscono come antidepressivo e strumento di adattamento sociale.

La soluzione del fare

L’uomo (o la donna) d’azione al mondo d’oggi è considerato l’uomo forte, che sa quello che vuole, risoluto nei confronti delle difficoltà e determinato nel raggiungere le proprie mete, costi quel che costi.

Egli è organizzato, efficiente, il tempo non gli basta mai, ogni minuto della sua giornata è occupato nel “fare”, nel fare qualcosa di utile per se stesso.

L’individualismo lo contraddistingue, ogni cosa che fa per gli altri ha comunque un ritorno utilitaristico, altrimenti è una perdita di tempo prezioso.

Quest’uomo corre, corre sempre. I problemi che gli sbarrano la strada verso il successo sono buttati giù come birilli grazie alla sua cieca determinazione.

Mentre ogni scelta è guidata dal mero calcolo, ogni cosa che conta deve il suo valore ad una valutazione in termini di “convenienza”.

Insomma egli sa stare al mondo come si dice, sa come galleggiare nella tempesta e come muoversi per primeggiare.

Sa agire al momento giusto e non necessariamente con prepotenza. Il suo ego non è per forza rozzo, può avere anche molto stile nel suo passare sopra gli altri.

L’intoppo alla soluzione del fare

Dove sta dunque il problema? A parte un po’ di stress (dovuto alla mancanza di riposo) e ad un po’ di piattume (a forza di dedicarsi solo a se stessi e all’utile compare la noia) dove la soluzione del fare mostra la sua fragilità?

La perdita di un sentimento autenticamente vitale è il sacrificio al quale l’uomo d’azione ha detto sì, quindi egli tendenzialmente non va in crisi per questo.

L’anestesia regalata dall’esercizio estenuante dell’azione infatti non è poi così male, niente pensieri complessi, niente sentimenti profondi e destabilizzanti. In più c’è il guadagno dell’adrenalina, l’euforia del successo. Le emozioni forti sono il premio, ben diverse dai sentimenti con i quali finiscono per essere confuse.

Il problema enorme nasce quando l’ostacolo che sbarra la via non è rimuovibile con i soliti mezzi, ovvero con il lavoro, la fatica, la determinazione, l’intelligenza o l’astuzia.

Quando l’ostacolo resta lì, qualsiasi cosa si faccia, qualsiasi soluzione o trucco venga messo in campo.

Allora il crollo psichico è una possibilità concreta. Vediamo persone forti, capaci, in grado di scalare montagne andare completamente in tilt dopo il fallimento dei tentativi di “risolvere” l’irrisolvibile.

In psicoanalisi gli ostacoli di questo genere, impermeabili al problem solving umano, sono chiamati “manifestazioni del reale”: la morte, la malattia incurabile, la fecondità, il sesso, l’amore, la vecchiaia, la calamità naturale ecc…

Il reale è legato al mistero su cui si fonda la nostra esistenza. Segna il limite non superabile tramite la forza di volontà e ci mostra che non siamo affatto padroni delle nostre vite.

Non si può guarire da una malattia grave grazie alla volontà, nè innamorarsi a comando, nè generare (o non generare) figli perché lo si desidera, ringiovanire nè far piovere quando c’è siccità

Eppure oggi le persone sembrano convinte che tutto sia possibile e, anche di fronte ai cancelli sbarrati del reale, si ostinano a fare, rovinando completamente la propria esistenza.

Così l’uomo d’azione che ha una vita perfetta e tiene tutto sotto controllo si innamora per la prima volta. Anziché porsi delle domande si fa l’amante, incastra l’amore nei ritagli della sua vita frenetica. E quando lei lo lascia non dorme più, non mangia più, per quanto triplichi il lavoro per stordirsi la sua pace è finita. L’amore vero, quello che brucia, non ammette trucchi dell’Io, e il tormento è il nuovo compagno di vita

Oppure la donna in carriera che resta incinta al momento sbagliato, proprio quando viene promossa sul lavoro. L’aborto sembra la facile soluzione, lo fa senza pensarci un attimo. Ma da li in poi la sua vita diventa un inferno, sintomi di ogni tipo invadono mente e corpo.

Questi sono solo due esempi, l’elenco è molto ricco e tristemente vario. Per non parlare degli eccessi con la chirurgia estetica o con le pratiche di fecondazione assistita, nuove manifestazioni dello scientismo contemporaneo.

L’offerta terapeutica

In questo scenario di sofferenza mentale l’offerta terapeutica di matrice psicoanalitica si diversifica dalle pratiche fondate sul fare.

La terapia orientata dalla psicoanalisi aiuta a vedere l’impossibile per quello che è e ad averci a che fare senza accanimenti negazionisti.

In una parola cerca di condurre verso l’accettazione non passiva, quella che fa andare avanti integrando e non oltrepassando l’ostacolo.

Il successo di tale approccio non è scontato: le persone vogliono delle “soluzioni” concrete, non vogliono perdere niente e non hanno tempo, sono vittime dell’accelerazione collettiva che illude di dover andare chissa dove.

Leggono l’accettazione come rinuncia tout court, senza riuscire ad intravedere il potenziale enorme che c’è nel dire sì a ciò che ci accade, anche quando scomodo o drammatico.

Dire si non è arrendersi ma è valorizzare la propria vita per quella che è, senza inseguimenti di ideali conformistici di felicità e senza lo sguardo noiosamente rivolto sempre e solo sul proprio utile.

Disagio contemporaneo