Quando si resta psichicamente “figli”?
L’emancipazione dalle figure genitoriali non è un processo scontato, che coincide unicamente con l’uscita di casa, l’indipendenza economica, la convivenza con un partner o la nascita dei figli.
La separazione che avviene nella realtà può infatti tranquillamente coesistere con la permanenza, pur in età adulta, di un attaccamento di natura infantile o di un sentimento di ribellione adolescenziale.
Tale fissazione impedisce la piena realizzazione di sè nei due ambiti che connotano la maturità, ovvero l’amore e il lavoro.
Difficoltà a mantenere relazioni stabili così come cronici sentimenti di insoddisfazione sono i sintomi visibili di questo disagio.
Ma perché non ci si svincola del tutto dai genitori e come mai la separazione psichica è così necessaria? Quali sono le dinamiche che vanno a sabotare la coppia adulta e la possibilità di godere del proprio lavoro?
Le ragioni della mancata separazione
Le ragioni della permanenza di rapporti familiari vischiosi risalgono all’infanzia.
Un rapporto frustrante o una rottura in seno alla coppia genitoriale può spingere un genitore (in genere la madre) a eleggere un figlio come partner compensatorio, obbligandolo ad una riparazione (morale e a volte anche pratica) e dunque ad un vincolo di cui non si libererà facilmente.
Accade anche che uno o entrambi i genitori riversino sul figlio le loro ambizioni mancate, legandolo in un rapporto di dipendenza più o meno esplicito. La compiacenza da un lato e la ribellione dall’altro si riveleranno i due poli verso cui alternativamente oscillerà la vita del futuro adulto.
Può succedere anche che sia l’angoscia il fattore determinante il blocco; i genitori hanno così tante paure da inibire la sperimentazione autonoma del figlio e instillare in lui la falsa credenza che senza la loro guida e protezione egli non potrà stare al mondo.
Non mancano nemmeno i casi di coloro che restano schiacciati da modelli irraggiungibili, quando i genitori sono persone di successo o che presentano le loro vite come perfette e impeccabili. Contesti in cui l’apparenza gioca un ruolo centrale non favoriscono il distacco bensi il conformismo, il rifugio pacificante nell’immagine.
L’importanza della separazione
Tutti questi esempi fanno capire cosa voglia davvero dire affrancarsi e perché tale processo sia così importante.
Affrancarsi non significa rinnegare l’amore ricevuto, etichettare il genitore come un esempio negativo, svalutare il passato e criticare in toto ciò che è stato.
Ci si affranca quando da un lato si aprono gli occhi, si riconoscono cioè i lacci invisibili (le dinamiche condizionanti sono per lo più inconsce e quindi largamente inavvertite), dall’altro si inizia a disporre liberamente della propria vita, compiendo scelte indipendenti e prendendo su di sè il rischio di commettere degli errori.
Separarsi corrisponde ad un atteggiamento non distruttivo verso la famiglia, ma finalizzato a scoprire e sviluppare la propria unicità non riconducibile a nessuna identificazione.
Se resto schiavo dei desideri, delle angosce o dei successi della mia famiglia di origine come faccio a sapere chi sono? Se devo parte del mio carattere e della mia persona al contesto in cui sono cresciuto, cosa posso dire che sia soltanto mio? Come farò a scegliere un lavoro che mi piaccia davvero o a trovare una persona con cui stabilire una vera intimità?
I sintomi della mancata separazione
I sintomi più tipici del mancato distacco li vediamo nei rapporti di coppia e/o nella vita lavorativa. Non sempre i due ambiti sono colpiti congiuntamente, può infatti accadere che uno dei due rappresenti una possibilità espressiva libera da condizionamenti.
Nel lavoro il problema principale è costituito dalla dedizione ad un’attività che non si sente pienamente nelle proprie corde. Magari si è anche molto bravi e performanti, però si può scoprire di essere finiti in una certa situazione perché accecati da modelli familiari, perché influenzati dalle attese o dalle paure genitoriali.
In tutte le situazioni in cui è avvertito un disagio viene fuori, prima o poi, un sogno nel cassetto, una passione a cui si è rinunciato senza nemmeno aver problematizzato la scelta.
A volte le circostanze concrete rendono difficile un drastico cambiamento di rotta, tuttavia la consapevolezza raggiunta può smorzare il disagio e far trovare modi di vivere il lavoro più consoni alla propria persona
A livello amoroso il problema principale resta la difficoltà nel mantenere la stabilità in un rapporto. A volte, quando essa è raggiunta, il rapporto si fraternizza e diventa un fac simile di quello genitore figlio.
Questo perché l’amore è infantilmente associato unicamente all’emozione, al gioco e alla seduzione, restando separato dagli affetti profondi.
L’amore va bene nella sua dimensione ludica e favolesca ma è l’intimità il grande problema.
L’intimità non si sviluppa o appiattisce la coppia nella misura in cui essa resta appannaggio dei rapporti familiari, messi al primo posto in termini di importanza affettiva.
Il vero amore è soltanto quello per mamma e papa, amare qualcun altro significa tradire il legame di maggior rilevanza.
Così le inevitabili difficoltà in seno ad un rapporto amoroso finiscono per disgregare anziché unire la coppia. Senza parlare delle ingerenze delle famiglie d’origine, sempre presenti in qualche forma.
Lavorare su questo punto per molte persone è molto difficile, perché significa scuotere dalle fondamenta il proprio equilibrio emotivo.
Per chi riesce a compiere il passo però i risultati nel tempo arrivano, accanto al disagio e alla fatica fa piano piano capolino un senso di rinascita, destinato a crescere con l’accrescimento e la complessificazione della scoperta di sè
Anche il partner non viene più dato per scontato. Inoltre se ci sono state rotture sentimentali (a cui è seguito il rimpianto bruciante dell’occasione perduta) un’analisi di questo tipo permette di non ripetere, di non ricadere negli stessi accecamenti di sempre, nei soliti cicli di idealizzazione e svalutazione di stampo infantile.