Il gusto del proibito
Perché gli esseri umani sono sempre un po’ attratti dall’ “ignoto” e persino dal “proibito”?
La caduta verso ciò che è considerato “sbagliato” dalla morale comune è sempre e solo segno inequivocabile di atteggiamento nevrotico o di psicopatia?
Nevrosi o psicopatia?
Dal punto di vista psichico un soggetto rispettoso delle regole e che non sgarra mai (mai una multa, mai una guida un po’ alticcio, mai un pressappochismo nella raccolta differenziata, mai uno sguardo su un’altra donna, mai un tradimento in tutta la vita ecc…) non è molto diverso rispetto a un altro che al contrario finisce sistematicamente nei guai.
Tenersi fobicamente al di qua di una soglia piuttosto che disinteressarsi completamente della questione si assomigliano, nella misura in cui in entrambe le situazioni si cerca di annullare la “normalissima” e umanissima ambivalenza rispetto ai limiti imposti dal vivere civile.
L’adesione conformistica cieca (che non di rado nasconde pulsioni di segno contrario) e il menefreghismo tipico del comportamento antisociale (anche questo caratterizzato da improvvise ed eclatanti esibizioni di moralità) sono due modi per appiattire e tenere a bada una complessità non risolvibile una volta per tutte senza scivolamenti.
Il patologico quindi non risiede tanto nel “peccatore”, spesso bravissima persona che per vari motivi si trova a passare oltre la linea del proibito, piuttosto nel “fanatico” della morale o nel cinico sociopatico.
Essi devono far vedere solo una faccia della medaglia; quella in ombra, relegata nell’inconscio ma non eradicata, si carica così come una pentola a pressione, esplodendo in comportamenti sintomatici assurdi.
Clinicizzare, stigmatizzare o condannare colui che moralmente “sbaglia” rientra quindi nella logica della volontà, quella sì nevrotica, di spianare una volta per tutte il conflitto insanabile che gli uomini vivono nei confronti di regole, divieti, sbarramenti, tabù, limiti.
Libertà e lassismo morale
Più l’essere umano è mentalmente libero, libero dagli schemi, dalle aspettative e dai giudizi degli altri, più è facile che prima o poi nella vita metta in atto dei comportamenti moralmente scorretti.
La differenza col moralista è che egli non tenta di passare per persona impeccabile, non insabbia i suoi peccati, non si pavoneggia della propria supposta virtù ma si prende la responsabilità delle sue azioni. Se si nasconde lo fa per sfuggire alla lapidazione collettiva, per sopravvivenza e non per intrinseca falsità.
Diversamente dallo psicopatico non ostenta, non si pavoneggia nè propone le sue condotte sregolate come modelli “cool” da seguire. Non è fiero dei suoi errori ma li interroga come percorsi obbligati per capire parti di sè rimaste in ombra.
In genere il desiderio di ferire o di fare del male non è contemplato, l’accento è posto sulla necessità di esprimersi e di concedersi delle esperienze non convenzionali piuttosto che sulla volontà esplicita di nuocere a qualcuno.
Il male che può scaturire a svantaggio degli altri può poi non sempre essere un male tout court. Infatti è l’uso che si fa di un torto ricevuto a fare la differenza.
Un marito che viene tradito dalla moglie è chiaro che incassa un male; ma lo stesso male lo può far evolvere, fargli capire cose che sarebbe stato impossibile cogliere altrimenti. Un evento del genere può rompere delle catene, muovere, spingere più in là non solo nelle consapevolezze ma anche nelle scelte.
Essere attratti da ciò che “non si può”non comprende soltanto il gusto fine a se stesso per la rottura degli schemi. Ciò che rientra nel “non si può” è un’esperienza umana a tutti gli effetti, anche se non conforme, e la curiosità può talvolta essere irresistibile, facendo addentrare in territori inesplorati di sè.
Da effrazioni morali si possono acquisire delle cognizioni nuove, prima del tutto assenti o presenti solo astrattamente. Non va dimenticato tuttavia che il desiderio d’avventura o d’evasione viene quasi sempre complicato da forti scombussolamenti emotivi. Allontanarsi dalla retta via fa sì che ci si possa perdere, non riconoscere più.
Eppure uscire dai binari, fare la cosa sbagliata agli occhi di tutti, benché destabilizzante, può configurarsi come l’esperienza esistenziale centrale nel proprio cammino. In grado, a posteriori, dopo la tempesta, di consegnare a una pace nuova.
Chi ha molto vissuto ha compiuto anche molti errori, ma questi errori si sono poi rivelati fondamentali per divenire persone più complete, interiormente tranquille e risolte.
Altro discorso merita la smania di avere tutto e tutti, la cupidigia insaziabile e la fame illimitata di beni e persone. Un conto è cadere in una lassità morale, un altro, come si diceva, è diventare degli individui completamente “antisociali” e noncuranti.
Il confine fra desiderio di libertà e mollezza esiste ed è ben netto. Il gusto per l’esperienza non coincide col permissivismo, col “chissenefrega” ma si configura come una sorta di abbandono all’ignoto, al non ancora visto e conosciuto.
L’invito dunque non è a comportarsi come pare e piace buttandosi a capofitto nei guai; se la prudenza è un’alleata importante per l’equilibrio e l’auto conservazione, un eccesso di freni e di tabù può alla lunga chiudere in convinzioni limitanti, irrigidire l’animo e far perdere il contatto con il vero sè.