Delusione d’amore
Qualcosa, che prima ci sosteneva e copriva con uno smalto brillante tutte le cose, improvvisamente viene meno, lasciandoci svuotati e privi di energie di fronte alla desolazione in cui ora sembra sprofondare il nostro mondo.
Di fatto, con la dipartita dell’oggetto amato, se ne va anche una parte di noi, quella irraggiata dalla luce del suo riconoscimento, del suo sì alla nostra vita. Quando speriamo di essere desiderati, quando siamo amati, visti, voluti, quando sperimentiamo la sensazione di unicità per l’altro il nostro essere esulta e si trasforma, al pari di una pietra un po’ grigia che, baciata dai raggi del sole, diventa lucido specchio a sua volta.
L’eclissi d’amore ci riporta dunque al nostro statuto primitivo di pietrisco inutile e incolore. Cos’è in effetti un essere umano senza lo sguardo amorevole del simile? Puro corpo, pura materia senza senso. Ecco perché si soffre così tanto, perchè capita di sentirsi così annientati. Dopo aver goduto le gioie del paradiso in terra ecco aprirsi il deserto dei ghiacci.
Come si esce dal baratro di questa mortificazione? Posto che non esiste un decalogo delle mosse giuste, dopo questa prima fase di profondo avvilimento la vita torna a fluire se siamo in grado di accettare ciò che ci è successo. Se cioè riusciamo a venire a patti con il nostro essere anche povere cose, povere pietre spoglie, misere e fragili. Integrandole come parti inaggirabili di noi, senza odiarle e rifiutarle, potremo conviverci e attenuare così il senso di disperazione suscitato dalla perdita.
A volte questo lavoro di metabolizzazione è complicato dal risveglio di antichi vissuti di svalorizzazione sperimentati in epoche più remote, magari nella nostra infanzia o adolescenza. Più precocemete siamo stati colpiti da lacerazioni e perdite, maggiori difficoltà avremo nel fronteggiare il riproporsi di tali situazioni da adulti.
In ogni caso, dato che la sofferenza origina da un’emorragia d’amore derivante dalla rottura di un legame, una strategia terapeutica efficace sarà quella di aprirsi quanto più possibile a legami di un certo spessore, che comportano cioè franco dialogo e comprensione. Classico è il confronto con un caro amico, con una persona non giudicante e pronta a offrire conforto.
L’incontro con un terapeuta può essere un’altra possibilità, non alternativa a quello con un amico né sullo stesso asse. Il terapeuta infatti, se non è mai del tutto esente da una parola di conforto, lo si chiama se si vuole fare un lavoro di altro tipo, più incentrato nella ricerca delle cause che determinano certi sintomi, il protrarsi del sentimento di prostrazione oltre il periodo considerato “normale”, l’incistarsi della condizione di mortificazione esistenziale in uno stato ansioso o depressivo.