Utilitarismo, immaginario e amore

Anche la scienza giustifica l'ineluttabilità del declino dell'intensità del sentimento amoroso, descrivendo i nostri meccanismi mentali individuali in termini biochimici ed evoluzionistici.

Tale visione cinica e disincantata viene spesso riportata in terapia come un'evidenza inconfutabile, che fa da paravento rispetto ai veri moventi che spingono la persona verso scelte all'insegna del disimpegno. "È così perché è così che funziona la natura umana" ci viene detto, non senza una nota di rassegnato pessimismo mista allo stupore di sentirsi rivolgere delle domande di chiarimento. In alcuni la nostra perplessità introduce però un dubbio: "forse c'entro qualcosa anch'io?", aprendo così un'interrogazione rispetto al proprio coinvolgimento personale.

La psicoanalisi, contrariamente al pensiero dominante, ritiene infatti che nessuna legge inscritta nel dna, nessuna chimica possano determinare e giustificare le nostre condotte, sempre connesse invece a ragioni che variano da individuo ad individuo e che affondano nel tessuto inconscio della psiche. Il fatto che certi fenomeni siano dilaganti non dice nulla del singolo, o meglio, non dice nulla rispetto ai motivi profondi che lo spingono ad abbracciare condotte o idee conformistiche, alla moda e uniformanti.

La contemporanea sottovalutazione del legame, il suo infiacchimento, la sua perdita di forza sono sotto gli occhi di tutti. L'utilitarismo regna sovrano, le persone si compiacciono di loro stesse allo specchio, cercando partner diremmo "speculari", che rinforzino il loro narcisismo al pari di immagini lisce e senza sbavature allo specchio. Il tempo impolvera tali superfici, i difetti dell'altro incrinano lo splendore dell'immagine, per cui bisogna cambiare, cercare altro, nuove fonti di rassicurazione e di elevazione. Lo scambio autentico e profondo perde di significato, appartenendo al regno dell'invisibile. Solo ciò che appare conta! E tuttavia l'immagine è così fragile, così precaria, così esposta a sfiorire...

Senza dubbio il fenomeno è su larga scala. Bisogna come clinici sempre interrogarci sul perché un soggetto si sia perso così nell'immaginario. Non basta dire che si tratta di un narciso, le classificazioni non sono sufficienti per un analista. Allora ecco che rivela tutto il suo valore l'andare a cercare nella storia individuale i mille perché di ciascuno, mai uguali, identici a quelli di un altro, nonostante la serialità delle condotte e degli atteggiamenti.

La relazione terapeutica, mettendo in gioco il transfert, riallaccia chi si è perso nel gioco di specchi in un legame possibile. In cui l'interlocutore è finalmente qualcuno che si sottrae dal fungere da immagine rassicurante. L'analista tendenzialmente tace e nasconde la sua persona proprio per impersonare quell'elemento dell'altro mai riassorbibile nello stesso, sempre altro, sempre spigoloso, sempre diverso.
L'analisi si pone come esperienza che, rompendo la specularità, riducendo gli aspetti immaginari della relazione, la rende paradossalmente pensabile e sostenibile, al di là della dinamica del rinforzo reciproco. Essere in un legame è tutt'altro che accordo permanente e armonia! Bisogna fare i conti con il turbamento ma anche con la ricchezza delle differenze. Con i silenzi, le incomprensioni, le vedute divergenti, i limiti...

Ecco che l'amore, grazie all'analisi, può smarcarsi dalla logica "usa e getta" per costituirsi come incontro con la differenza dell'altro. Allora forse un incontro potrà essere finalmente fuori serie, andando però a turbare le certezze  più che a rinforzarle... L'amore è il contrario dell'utile, spesso cozza anche contro il benessere e l'agio, non avendo nulla a che fare con la proprietà.

La riduzione del narcisismo individuale data dall'analisi spoglia certo, impoverisce, avvicina al nucleo di povera cosa che ciascuno di noi è. Spalancando così la visione personale su altre ricchezze, invisibili agli occhi.

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Dott.ssa Sibilla Ulivi, psicologo e psicoterapeuta

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