Amori contemporanei
Molte impasse negli amori fra i giovanissimi oggi sembrano legarsi non tanto ad una difficoltà di comunicazione fra i sessi, cosa più tipica di generazioni passate, bensì ad un cinismo e ad un disincanto che bloccano e cristallizzano la conoscenza prima ancora che essa possa iniziare.
Le chat di incontri stanno portando a galla il fenomeno in maniera allarmante, benché esso non sia ristretto ai soli appuntamenti decisi tramite il canale virtuale.
Il copione
I giovani si guardano, si scelgono liberamente seguendo criteri di natura estetico/sociale, si piacciono, escono per fare serata, bevono, cambiano locali, passano tutta la notte insieme all’insegna del divertimento, delle chiacchiere e dell’allegria che culminano in rapporti sessuali più o meno “riusciti”. Infine si salutano col proposito di risentirsi.
Ed è da quel “ci sentiamo” che cominciano i guai. Spesso (soprattutto da parte maschile anche se esistono situazioni rovesciate in cui è lei a dirigere la dinamica) tale proposito sottende semplicemente una ripetizione del copione iniziale: si esce quando si riesce ad incastrare l’appuntamento tra i mille impegni, ci si diverte in maniera leggera, si fa sesso e ci si saluta. Tra un incontro e l’altro alcuni messaggi, inviati più per tenere aperta la possibilità di un aggancio futuro che per esprimere un interessamento verso la persona a cui sono diretti.
Finché il discorso impostato così va bene ad entrambi nessun problema. La relazione di fatto non esiste né si costruisce, si crea una sorta di micro realtà parallela in cui gli individui recitano come attori, desiderosi soltanto di evadere, di vivere fuori dalla realtà di un incontro “vero” percepito come troppo “faticoso”.
Mettersi in gioco davvero equivale a pesantezza, frustrazione, emozioni negative. Giocare invece superficialmente è più facile, più gratificante. Dunque nessuna passione per la scoperta, per le cose difficili ma intense, vere e piene. Nessun desiderio di uscire da sé stessi o di entrarci forse per davvero.
A volte “non rapporti” di questo genere vengono vissuti come fossero una relazione, con la tacita intesa rispetto ai limiti che non devono per nessuna ragione essere travalicati. Ciascuno resta nella sua solitudine, non condividendo nulla di sé se non a livello di sfogo estemporaneo a cui seguono nuovamente chiusure e riserve.
Il caso più sofferto è quello in cui una delle parti (soprattutto quella femminile) desidererebbe rompere il muro non tanto dell’incomunicabilità (che la si sperimenta quando una vera comunicazione c’è) quanto della disconnessione.
È la donna infatti che sta più scomoda nel sistema descritto, perché naturalmente portata a legare l’esposizione all’altro sesso ad un discorso più ampio, che include le emozioni e lo scambio profondo. L’uomo, per sua costituzione, pone la partner nel luogo dell’oggetto di cui godere senza implicazioni, quindi per lui è più semplice mantenersi distaccato e tenere in piedi il tutto come un puro svago, una ricreazione dalla vita vera. La pallida recita di un rapporto reale è sì alla lunga noiosa e vuota, ma inoffensiva e rassicurante.
La rottura
Il passatempo così impostato si interrompe nel momento in cui lei (più raramente lui) rompe lo schema, quando si mette a scrivere o a telefonare inopportunamente in modi o in orari inappropriati, quando avanza richieste, quando tenta più o meno goffamente di farsi conoscere e di gettare un ponte verso l’altro. E questo non nel contesto di una relazione clandestina, in cui esiste un partner ufficiale, una famiglia, delle condizioni che rendono l’amore impossibile. Ciò accade fra persone giovanissime e sentimentalmente libere, che si professano alla ricerca del grande amore.
La sparizione è allora il modo semplice, pulito, senza faticosi confronti per chiudere la breccia di disarmonia aperta nel sistema. Basta poco, ci si disconnette e via, lasciando l’altro in balia di mille perché.
Alcuni, quelli più raffinati, danno delle spiegazioni. “Non è scattata” (sotto inteso la scintilla) è la frase più gettonata ma anche quella più terribile che molte giovanissime si sentono rivolgere. Ragazze molto belle, intelligenti, con la testa sulle spalle, piene di qualità si sentono dire che “beh, non mi sei piaciuta abbastanza”.
Oppure, altro fenomeno frequentissimo, la motivazione per giustificare il rifiuto si trasforma in una dissertazione psicologica sui presunti “difetti” propri e altrui, sulla presunta “incompatibilità” di coppia. Il rapporto, che non ha avuto né il tempo né il modo di nascere, viene grottescamente analizzato come fosse logoro e vecchio di trent’anni. I due, di fatto estranei, sulla base del nulla convengono di non essere “adatti” l’uno per l’altra e si allontanano. Per ricominciare un altro breve giro su un’altra giostra.
Colui che avrebbe voluto proseguire, che si era illuso di vivere qualcosa di concreto e di non essere vissuto come mero “scacciapensieri” , se non ha la forza e la lucidità di capire quanto successo può vivere sentimenti molto dolorosi, che lo possono portare a vacillare rispetto al proprio valore personale. Molte ragazze si convincono di non valere niente, perché usate e gettate in un angolo come bambole vecchie da bambini viziati.
La psicoterapia
La psicoterapia spesso si trasforma in un’occasione per risistemare la visione alterata, e semmai per chiedersi come mai si sia così disposte a dirsi di non valere niente. La questione dell’amore e del rispetto di se stesse finisce per occupare un posto centrale. Ma altrettanto degno di valore è un ragionamento rispetto al senso di buttarsi ogni volta in pasto a copioni euforizzanti che infine triturano l’autostima.
Il gioco lo si fa sempre in due, la paura di incontrare davvero l’altro e se stessi nelle rispettive nudità (ricche di asperità e contraddizioni) è il movente non solo del carnefice ma anche della vittima dei rapporti “mordi e fuggi” della contemporaneità. Entrambi i partner accelerando i tempi, bruciando le tappe, accondiscendendo alla voracità dell’insoddifazione che cerca imperiosamente rimedio nel qui ed ora, cercano egoisticamente delle compensazioni e delle gratificazioni narcisistiche, per loro natura effimere.
La seduzione basata non sull’essere pienamente e “pesantemente” se stessi ma sull’artificio, sull’immagine, sulla presentazione delle proprie carte “vincenti” esalta, scolla maniacalmente e tristemente dalla realtà. È il “reale” di sé stessi e dell’altro che i giovani alla ricerca di incontri non vogliono assolutamente incontrare. Però, paradossalmente, è proprio da quell’evitamento che deriva il vuoto desolante con cui hanno a che fare, quella paralisi dei sentimenti, quella noia, quel bisogno compulsivo di nuove, seriali avventure.
Ciò che risulta davvero coinvolgente e interessante, ciò che suscita desiderio infatti non è l’oggetto in sé stesso. La magia è negli occhi che sanno guardare, che si soffermano sull’oggetto non con cupidigia e volontà egoistica di appropriazione ma con ammirazione, sacro rispetto del suo mistero, della sua ampiezza e vastità non semplicisticamente e rapidamente etichettabili.