Benedetta Pilato e la sua lezione di gratitudine
I fatti: le parole di Benedetta Pilato e i commenti della Di Francisca
I fatti sono noti a tutti, abbiamo una giovanissima atleta che per un soffio non conquista il podio alle Olimpiadi di Parigi 2024 e una veterana ex atleta comodamente seduta in uno studio televisivo.
Intervistata a caldo, nonostante le lacrime e il bronzo sfumato, Benedetta Pilato sorride, e specifica che le sue sono “lacrime di gioia”.
"Ci ho provato fino alla fine, mi dispiace, però le mie sono lacrime di gioia, ve lo giuro, sono troppo contenta, è stato il giorno più bello della mia vita. Un anno fa non ero neanche in grado di farla questa gara".
Dall’altra parte, i commenti della Di Francisca: “non mi far parlare, io non ci ho capito niente, non so se ci fa o ci è…ma lei c’è rimasta male, obiettivamente è rimasta male, è impossibile, non può essere contenta…Non voleva andare sul podio e allora che c’è andata a fare? Rabbrividisco. Fatene un’altra di intervista per capire cosa voleva dire, servono i sottotitoli".
Il senso profondo delle lacrime e delle parole di Benedetta Pilato
Ebbene sì, una ragazza alle soglie della vita può piangere per l’emozione enorme di trovarsi a gareggiare alle Olimpiadi, anche se non ha vinto.
La tensione si scioglie, qualcosa esplode dentro e sono “lacrime di gioia”, ovvero espressioni di una vitalità potente e positiva, ben lontana dalla fanatica ricerca della prestazione a tutti i costi.
Benedetta si emoziona perché è sopraffatta da un sentimento di gratitudine, è in un momento della sua crescita umana e sportiva in cui tutto è una scoperta e un’avventura.
La sua emozione è sana, non ha nulla di patologico, al contrario esprime una freschezza d’animo e una sensibilità non banale.
Tutt’uno con l’atleta c’è la persona e Benedetta lo mostra con semplicità, attraverso la commozione. Non piange perché ha perso, non si lamenta, il suo volto non è corrucciato, le sue parole non sono amare, il suo sorriso non è falso.
Non c’è finzione in questa reazione, essa non rappresenta un meccanismo di difesa di negazione della sconfitta (le parole della di Francisca alludono esattamente a questo).
Le lacrime di gioia sono la rivelazione esteriore di un “forte sentire”, di un “momento alto, topico”, di quelli che Virginia Woolf avrebbe definito “moments of beauty”.
I momenti di bellezza sono istanti della vita destinati a restare eterni, ma non per il trionfo narcisistico (che spesso lascia paradossalmente indifferenti) bensì per la sensazione di gioia inondante non correlata logicamente al fatto specifico che la scatena.
Si tratta di uno stato intimo, personale, legato alla percezione interiore della propria esistenza che non ha nulla a che vedere con l’Ego e i suoi compiacimenti.
Commozione e contemplazione si fondono in un tutt’uno ed ecco la gioia, il piacere mistico dell’esserci. Si può vivere un momento di bellezza persino al funerale di una persona amata, nella contemplazione dell’amore eterno che ci lega a chi abbiamo perso per sempre su questa terra.
Benedetta ha perso la gara ma ha vissuto tutto con un’intensità fuori dal comune, da vera fuoriclasse piena di talento e amore.
E ha dato a noi spettatori appassionati di nuoto una lezione importante, ci ha fatto vedere l’importanza del viaggio, non della meta.
La visione ristretta della vita come una gara
Purtroppo la commentatrice, al netto di tutte le medaglie vinte, a livello esistenziale si trova indietro rispetto alla giovane collega.
A riprova di quanto l’età non significhi altro che scorrere del tempo e non coincida necessariamente con la maturità emotiva.
La saggezza inconscia e non consapevole di Benedetta supera di gran lunga l’ottusità di chi crede che la realtà interiore sia una specie di copia carbone dei fatti esteriori.
Hai perso dunque devi necessariamente essere infelice. E se non lo sei sei “surreale”, “ci fai”, meriti di essere deriso e offeso.
Sia la commentatrice che tutto lo staff della Rai, al netto della brutta figura, purtroppo riflettono lo spirito becero dei nostri tempi, che divide il mondo fra vincitori e vinti senza capire nulla di cosa significa “vincere davvero”
Si vince davvero quando si è in equilibrio con se stessi, quando ci si concede una debolezza perché si è intimamente forti e profondi, quando si capisce che il mondo non è una squallida arena in cui ci si asfalta reciprocamente per bearsi narcisisticamente di se stessi e delle proprie misere vittorie.
Si gareggia per vincere nella gara, non nella vita.
Perché la vita non è una gara, e purtroppo una concezione del genere condanna a tanta frustrazione e a tanta infelicità.
La potenza umana dura poco, e subito arriva qualcuno che è e ha di più.
La disperazione è la vera condanna dell’uomo che annega nell’effimera apparenza, la gioia la ricompensa dell’uomo saggio, a volte nascosto nelle sembianze di una diciannovenne talentuosa che non vince alle Olimpiadi.