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L’età biologica: cosa significa davvero mantenersi “giovani”?

L’ossessione per la longevità: perché non è sana

L’ossessione per la giovinezza del corpo e la longevità in questi ultimi anni è incrementata considerevolmente.

Esercizio fisico, dieta, meditazione, bagni di ghiaccio (e chi più ne ha più ne metta) sono gli strumenti più pubblicizzati dai vari influencer, guru, supposti biohackers ecc… per aumentare lo scarto fra l’età cronologica (età anagrafica) e quella così detta biologica.

L’obiettivo dichiarato è vivere a lungo, il più possibile, belli e in forma.

Ma siamo sicuri che sia una buona idea?

Darsi troppo da fare per vivere sani: l’ansia e la colpa di ammalarsi

L’accento è posto tutto sul funzionamento della macchina corpo, mentre il nutrimento dello spirito e la cura dell’anima sono completamente lasciate da parte, anche quando sembra che non sia così.

Persino la meditazione o la psicoterapia, pratiche non banali e che necessitano di una qualche preparazione/dotazione interiore, sono ridotte a “strumenti” da mettere nel carrello della spesa “healthy”.

La psiche viene concepita come un organo qualsiasi, da “mantenere sano” o da “ricaricare di energia” somministrandole qualcosa.

In tutto questo darsi da fare per “vivere sani” l’uomo contemporaneo resta ancora una volta preda dell’ansia, sembra cioè sganciarsi da se stesso, valutandosi e soppesandosi come un oggetto con una data di scadenza che sta a lui allungare il più possibile.

Una nuova responsabilità pesa sulle sue spalle, così che se si ammala, gli spunta una ruga in più o gli succede qualcosa la colpa è sua e soltanto sua.

Non hai rispettato la routine! Hai mangiato il gelato! Ti sei dimenticato l’integratore!

Mai dunque abbassare la guardia: la lotta contro il tempo è disperata e senza possibilità di tregua.

Si capisce allora come, portato all’estremo, un discorso che avrebbe anche il suo senso (prendersi cura di se stessi per stare bene) si trasforma in un imperativo ossessionante, che rende psicologicamente fragili e sotto scacco della paura.

Inoltre nel tentativo di conservazione del bene “vita” questa mentalità ossessiva ne restringe pesantemente la fruizione.

La vita magari effettivamente dura di più rispettando tutte le routine del caso, l’età biologica si abbassa anche di qualche anno, ma che fine fanno la vita spirituale, la vita interiore, la gioia?

L’importanza della passione, dello spendersi e del dimenticare se stessi

Bisogna muoversi, fare lo stretching, le pause, non mangiare zuccheri. Ma se siamo presi da un’attività che ci appassiona, che ci fa dimenticare tutto e ci fa stare per ore immobili e concentrati stiamo facendo un errore che ci minerà la salute?

E se consumiamo uno spuntino zuccherino perché abbiamo bisogno di nutrire i neuroni mentre siamo impegnati a creare, a leggere, a parlare con le persone o magari a studiare la matematica ci stiamo avviando verso l’auto distruzione?

Stare in piedi per ore non va bene, la sedentarietà fa male alla circolazione. Ma se seguiamo un bambino che richiede la nostra attenzione e non ci sediamo mai, oppure lavoriamo in un centro commerciale o ristrutturiamo mobili siamo destinati alla morte precoce?

Non è la vita stessa che ci porta naturalmente a usurarci? Dovremmo smettere di dedicarci a qualsiasi cosa, non lavorare nemmeno più e pensare solo a tenere in moto la macchina.

Dovremmo cioè eliminare la passione dalla vita, quella che sì, ci fa consumare, ma ci dà al tempo stesso il senso di essere vivi e creativi.

Lo stesso sport di “endurance” oggi viene messo sotto accusa, a una certa età non va più bene, bisogna fare noiosissimi esercizi isometrici.

E il piacere di correre o nuotare finchè abbiamo forze per raggiungere la nostra meta, un bosco, uno scoglio lontano, perché rinunciare? Per non consumare le articolazioni?

Se poi per caso una malattia incurabile ci viene ad aggredire, beh, allora c’è da andare in depressione sommersi dai sensi di colpa, oppure ci si può sempre consolare con un macabro esibizionismo del male, anche questo molto in voga.

Se apparire infondo è il fine di tutto, perché allora non sfruttare la malattia per dare un “boost” perverso al proprio ego?

L’età è davvero solo un numero?

“L’età è solo un numero” dicono i fanatici dell’ “ageless”.

E hanno ragione. Ma non alla Dorian Gray, come accade oggi con queste maschere levigate ed eternamente giovani che nascondono cuori decrepiti.

L’età è solo un numero se ci mantieniamo vivi e creativi, se, pur nel rispetto e nella cura del corpo, non esitiamo a forzarne i limiti per dedicarci agli altri, ai progetti, alle riflessioni, alla coltivazione dello spirito.

Stancarsi, dormire poco, stare fermi per ore, concedersi una merenda dolce non ci uccidono più di quanto non lo faccia una vita imbrigliata dalla routine e dalla preoccupazione solipsistica per se stessi.

Abbiamo un corpo, ma non siamo il corpo. Usiamolo questo corpo! Mettiamolo pure sotto stress quando ne vale la pena, usciamo da noi stessi e dal narcisismo arido e inquietante di questi tempi moderni!

Dimentichiamoci un po’ di noi, spendiamoci per qualcosa che vale, saremo più vivi e felici.

Annegare la tristezza, la delusione e la frustrazione nella chiusura individualista del proprio orticello magari allunga la vita in termini di anni ma la accorcia nel suo significato più misterioso e affascinante.

Male oscuro, Disagio contemporaneo

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