Il bambino perfetto: l'analisi di Susanna Tamaro

La violenza contemporanea e la rinuncia ad educare
Pochi giorni fa è apparso sul Corriere della Sera un bell’articolo di Susanna Tamaro, un po’ fuori dal coro rispetto alle esternazioni trite e ritrite dei vari specialisti psicologi interpellati a commentare gli ultimi, sconcertanti fatti di cronaca nera.
Il tema della violenza contemporanea è abbordato dalla Tamaro a partire dal concetto di “educazione”, in questi decenni andato incontro ad una vertiginosa perdita di popolarità a causa della sua identificazione integrale con le derive autoritarie (di cui era permeata la società pre sessantottina).
La Tamaro, se si legge bene fra le righe del suo discorso, non esprime il rimpianto per i “bei vecchi tempi” andati, nè tantomeno auspica il ritorno della legge del bastone e della repressione forzata degli impulsi in seno alla famiglia o all’istituzione scolastica.
L'educazione come forma di esserci per l'altro
L’educazione a cui fa riferimento la scrittrice è un’altra cosa, è quel processo virtuoso (innescato dall’altro e poi portato avanti in autonomia) in grado di condurre la materia umana “grezza” verso una forma “evoluta” e “compiuta” che possa dirsi veramente “umana”.
Il mito del “bambino perfetto” tipico dei nostri giorni è miope e pericoloso ai fini di uno sviluppo armonico della personalità. Questo perché esso enfatizza a senso unico la “spontaneità” del piccolo selvaggio, distogliendo lo sguardo dalla necessità di “contenere” e “affiancare” il piccolo (in balia dei suoi istinti e non ancora cosciente di sè) affinché possa inseguito fiorire come essere umano capace di autocontrollo e di amore per l'altro.
L’educazione è questo, è lo sguardo dell’adulto, la sua presenza, il suo esempio e la sua parola, non finalizzati a riempire o a reprimere, non interessati a piegare ed asfissiare ma a garantire al bambino la possibilità di una linea di sviluppo umana.
Il bambino, in quanto essere grezzo, racchiude in sé una potenza vitale straordinaria, che però se lasciata a se stessa senza la sponda dell’adulto inevitabilmente degenera in dispotismo, in egocentrismo e in violenza.
L’educazione è allora un delicato equilibrio fra ascolto e intervento, fra accoglienza e orientamento dell’originalità unica del bambino. Essa è come il letto del fiume che dà la forma all’acqua, che le permette di scorrere libera, pur entro un solco e una direzione.
L’educazione nella sua essenza è un atto di amore incondizionato, che rispetta la particolarità unica dell’altro ma al tempo stesso grazie al legame ne limita la potenza distruttiva.
Il bambino perfetto: solitudine senza empatia
Il “bambino perfetto” è invece un bambino solo, abbandonato a se stesso, anche se curato di tutto punto negli aspetti materiali. Egli viene viziato e messo nella posizione dell’idolo, quindi privato della possibilità di evolvere grazie al legame con l’adulto.
Questo bambino non può che sviluppare una personalità narcisistica, il cui unico orizzonte è il proprio bisogno, il proprio impulso e la propria volontà. Tutto ciò che si frappone fra sé e l’obiettivo non esiste o va tolto di mezzo, anche con la violenza.
Se l’altro si è palesato solo nella forma di mezzo di soddisfazione di bisogni (o peggio come colui che cerca soddisfazione e riscatto delle proprie frustrazioni in lui) la nozione di alterità non si sviluppa, perché viene inglobata onnipotentemente nel sè.
L’altro è un mezzo, uno strumento, oppure una sanguisuga, un parassita. In ogni caso non rappresenta una figura umana, che esiste, che c’è, che si rispetta e si ama.
La totale mancanza di empatia del “bambino re” e del futuro ragazzino disagiato e sociopatico ha qui la sua radice.
Infatti molta della violenza che vediamo oggi avviene così, con noncuranza, come se l’altro appunto non esistesse davvero, non fosse un compagno che condivide la medesima natura vivente ma un mero bersaglio, un oggetto da spazzare via come una cosa (se infastidisce o se solo se ne ha voglia).
Forza di volontà o volontà di potenza?
Susanna Tamaro nota come oggi si sia sostituita alla forza di volontà, esito dell’educazione, la volontà di potenza.
La forza di volontà è frutto dell’educazione perché comporta la voglia di migliorarsi, di imparare dall’altro.
Essa è apertura, è possibilità di sviluppo e di affinamento, è umiltà, è voglia di capire e imparare davvero.
È al fondo coscienza di sè stessi, quella che consente il dominio su di sé e sui propri istinti.
La volontà di potenza invece è acefala, si concretizza nella prepotenza senza pensiero e senza capacità di autocontrollo.
Oggi purtroppo molte persone sono già adulte e figlie della progressiva e inarrestabile eclissi dell’educazione.
Molti contesti educativi e di cura come la famiglia, la scuola e persino la psicoterapia galleggiano in un “lascia fare” molle e disimpegnato o si riappropriano del peggio del peggio della cultura educativa autoritaria.
Se vogliamo ripristinare un equilibrio e una società meno violenta è allora quantomai necessario riscoprire l’esistenza del bene e del male e del loro complesso intreccio nella psiche umana.
Tale consapevolezza può portare a rinunciare all’ideale del bambino perfetto e a rimboccarsi le maniche per tornare a essere figure autorevoli (non autoritarie ma nemmeno fragili e disimpegnate).
Male oscuro, Rapporto genitori figli