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La psicoterapia online

Prima dell’emergenza Coronavirus una fetta importante di psicoterapeuti era piuttosto scettica sulla fattibilità ed efficacia della psicoterapia così detta “online”. Io stessa, in linea con gli insegnamenti ricevuti e avendo in mente cosa è stato efficace nel mio percorso analitico personale, ho sempre pensato che un lavoro terapeutico che incide davvero  non possa escludere l’incontro fra due esseri umani in carne ed ossa.

In questa situazione di pandemia tutti noi abbiamo fatto di necessità virtù e ci siamo affidati al telefono o al computer, mettendo da parte le nostre ritrosie.  Per non abbandonare i pazienti in un momento delicatissimo ci siamo adattati agli strumenti che avevamo, dato che l’obiettivo era e resta poter raggiungere l’altro nonostante l’impossibilità di incontrarsi di persona. 

La psicoterapia online funziona? 

Abbiamo così scoperto che la psicoterapia da remoto funziona. E non solo nei casi di cure già ben avviate. Il dispositivo inaspettatamente si adatta bene anche a nuove domande, soprattutto quando sono sostenute da una volontà non passeggera e unicamente legata all’urgenza. Qualcosa attraversa la barriera della distanza e arriva, arriva all’altro tramite e oltre la parola. L’effetto dell’incontro si ricrea, la dimensione ultra spaziale e atemporale in cui sprofondano i due attori del processo psicoterapeutico si attiva nella stessa identica maniera. 

Ma la riflessione non si limita semplicemente alla constatazione che si può fare, che la cosa funziona. Bisogna chiedersi anche perché stia in piedi, in virtù di che cosa. E che limiti ci possono essere rispetto al discorso tradizionale. 

La liberazione dallo sguardo e dall’ingombro dei corpi tipica del setting online sembra a prima vista il punto chiave. Senza l’impiccio della presenza fisica, della cattura degli occhi, dei colori, persino degli odori si è più rilassati, più concentrati sul pensiero e le idee. Il rapporto analista paziente è più a riparo dal rischio di simmetrie e immedesimazioni reciproche, proprio perché lo specchio è oscurato dalla distanza. 

Ma potrebbe essere vero anche il contrario! Proprio perché ci si sente al telefono o si fa la video chat significa che siamo amici, che possiamo parlare del più e del meno e chiacchierare senza tanti sforzi di produrre qualcosa di serio. 

Se non è il mezzo e le sue caratteristiche intrinseche a fare la differenza allora a cosa dobbiamo il funzionamento delle cure virtuali?

Tre motivi per cui la terapia online sta funzionando 

In realtà entrano in gioco gli stessi identici fattori che consideriamo quando vediamo qualcuno nella nostra stanza. Ovvero la consistenza della domanda di cura, la congiuntura in cui questa richiesta ha luogo e il desiderio dell’analista che sostiene e rende possibile l’alleanza con l’inconscio del paziente. Nessuno dei tre viene prima dell’altro, stanno tutti sullo stesso piano e hanno lo stesso peso. Vediamoli uno per uno.

Una domanda di cura che poggia su interrogativi importanti, già messi in forma nel lavoro precedente (nel caso di terapie già avviate) o strutturati in solitudine in un tempo precedente (nei pazienti nuovi)  è il terreno ideale di ogni psicoterapia, anche di quella online, perché trascende largamente la necessità della presenza dell’analista per costruire un discorso. Si parla all’altro ma si parla al tempo stesso a se stessi, con un margine di autonomia rispetto al terapeuta molto elevato. 

La congiuntura di domanda (lo specifico momento della vita in cui si chiede aiuto) è importante generalmente perché concorre a sostenere la motivazione ad addentrarsi nell’analisi. Lo è allora nello specifico per i nostri colloqui online. Avrebbero la stessa valenza e la stessa efficacia se fossero accolti in momento storico differente rispetto all’attuale? Oggi le cure virtuali devono molta della loro ricchezza e produttività a questo fatto, alla straordinarietà di ciò che sta accadendo intorno a noi. 

Se oggi non ci fosse cioè l’impedimento a vedersi, se i colloqui svolti in remoto fossero la modalità consueta anche in tempi normali, avrebbero la stessa valenza? Non rischierebbero di rivelarsi qualcos’altro, un comodo servizio a portata di mano che evita la fatica di prepararsi e uscire di casa al pari dell’ordine di un food delivery? 

Quindi la valutazione del senso della terapia online non può prescindere dalla valutazione del contesto psichico in cui sta accadendo e della sua straordinarietà. La privazione porta cioè a valorizzare in modo particolare la parola come canale di comunicazione strappando alla vista parte del suo primato. Una volta che torneremo a poterci vedere la parola rischierà di svuotarsi nuovamente, di ridursi a chiacchiera vuota al telefono. Per questo sarà necessario ricominciare a svolgere le sedute vis a vis per uscire dalla confort zone, per reintrodurre la scomodità dell’urto con l’altro. 

Terzo ma non da ultimo il così detto desiderio dell’analista. Se questi vuole essere lì, sa starci, sa sopravvivere, sa non fuggire, sa mantenersi intuitivo e sveglio, sa esserci senza esserci  allora i varchi si aprono anche a chilometri di distanza. La sua presenza la si sente, così come il suo farsi trasparente. La capacità di mettere in valore la parola senza sovrastarla resta invariata pur nella distanza. L’ascolto mantiene inalterate le sue potenzialità curative.

Il limite della terapia online

Il grande limite dell’online (al di là delle concrete situazioni in cui manca la privacy per potersi esprimere liberamente) è il venire meno del disagio dato dal fatto di trovarsi di fronte un altro essere umano in carne ed ossa. Si può essere più liberi di parlare, certo, ci si concentra forse meglio e di più sul testo, sui contenuti. Ma viene a mancare quel fondo di angoscia che tutti noi proviamo sempre a contatto con gli altri, anche quando non lo avvertiamo minimamente perché siamo più estroversi o ci troviamo particolarmente a nostro agio con qualcuno. 

Quel fondo scomodo, fastidioso può essere in molti casi  invisibile ma opera sempre nelle interazioni umane. La cura delle relazioni non a caso è stancante e faticosa, sebbene bella. Perché ci costringe a stare nella differenza, in un luogo fuori da noi eppure con noi, dove i contrasti non sono aboliti in un’illusione di armonia ma messi in risalto.

E per guarire dalle nevrosi, per diventare esseri umani più consci a se stessi continueremo ad aver bisogno di questa esposizione agli sguardi, ai corpi stranieri, che non ci confortano e basta ma ci ricordano anche la nostra  limitatezza, confrontandoci con l’eterna questione di come ci vede l’altro, di che valore abbiamo per lui, di come possiamo mantenerci ancorati a noi stessi pur perdendoci nella miriade di identificazioni proiettive innescate dagli incontri. 

Grazie alla conoscenza sulla nostra pelle di questi giochi proiettivi in campo relazionale possiamo svincolarci dalle nostre visioni cieche e preconcette, aprendoci alla possibilità di potercele parzialmente scollare di dosso e di non venirne rovinosamente condizionati per tutta la vita.

Disagio contemporaneo

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