La voglia di ripartire
La vita scalpita a dispetto di tutto, della paura, del non sapere, dei divieti. E nel caos generale spinge per “riaprire”, come un fiume in piena che rompe gli argini.
Il desiderio di tornare alla così detta normalità si sta prepotentemente risvegliando in molti cittadini affaticati dal lungo fermo domestico, nonostante l’emergenza non sia ancora finita e nonostante incomba l’incertezza più totale rispetto al futuro.
La grande incertezza
Gli stessi scienziati (i così detti detentori della conoscenza dell’era contemporanea) non forniscono per ora alcuna garanzia, nel bene o nel male. Essi si dividono in due categorie, gli ottimisti, che vedono nel netto calo dei malati gravi il segno di una perdita di virulenza del virus e di un suo progressivo adattamento all’uomo (ritenuto tipico dei Coronavirus), e i pessimisti, che si attendono nuove ondate drammatiche basandosi sull’epidemiologia e sulla scarsità di conoscenze rispetto a questo nuovo patogeno.
La memoria della sottovalutazione dei primi tempi induce i più alla prudenza, soprattutto proprio coloro che inizialmente si erano esposti con dichiarazioni minimizzanti.
D’altro canto le forze politiche si arenano nella consueta litigiosità ideologica, nei fatti inconcludente e dannosa. Il messaggio che finiscono per trasmettere è un “si salvi chi può” , aggirando questioni spinose tramite una pericolosa oscillazione fra fra autoritarismo e lassismo. Da una parte ci viene detto cosa dobbiamo e non dobbiamo fare come fossimo dei bambini, dall’altra si fa appello alla nostra responsabilità di adulti per colmare le carenze del sistema.
I saperi e l’organizzazione sociale in questo scenario svelano tutta la loro fragilità e impotenza di fronte alla forza della natura, enigmatica, inconoscibile, soverchiante.
Resta, al netto dei balbettamenti della scienza e delle deboli, opinabili e frammentarie misure politiche, la reazione del singolo, esposto senza protezioni al caso o se vogliamo al proprio imperscrutabile destino.
Le reazioni individuali
E le reazioni a livello individuale sono le più disparate.
Qualcuno è bloccato dall’ansia, qualcun altro dalla depressione. C’è poi chi si infuria contro il governo e chi si informa ossessivamente leggendo di tutto di più. Non manca di certo colui che si crogiola nel vittimismo, o che alterna tristezza ad euforia.
Ci sono anche quelli che colgono l’occasione per studiare e riflettere, che meditano e vedono accrescere il proprio livello di autocoscienza e consapevolezza. In molti si rifugiano nei piaceri fisici, nello sport, nei giochi al computer. C’è chi preferisce evadere dal mondo, sognando e progettando un futuro a venire e chi si ancora ancora di più alla realtà, aiutando gli altri come può, facendo squadra, inventando iniziative di solidarietà, spendendosi in progetti concreti.
E ancora chi si aggrappa al lavoro, allo “smart working” che invade le giornate domestiche ma almeno impedisce di pensare, barcamenandosi magari fra le attività lavorative e il ruolo di madre o di padre, non venendo meno alle proprie responsabilità familiari.
Non si assentano dalla scena, come sempre, coloro che vedono nella crisi un’occasione di speculazione ai danni altrui.
La massa umana
Ma tutti, anche i più disperati, i più affranti, i più distaccati o preoccupati o ripiegati in se stessi al fondo continuano a desiderare di vivere. La spinta alla vita (salvo rarissimi casi di patologie mentali molto gravi per altro largamente impermeabili alle influenze esterne) sovrasta tutti quanti, come una forza cieca, come la spinta dell’acqua che ci riporta a galla anche quando vorremmo affondare.
La “massa” umana, vista dall’alto, ha resistito e resiste a tutto, malattie, guerre, carestie, catastrofi naturali, pandemie. E non grazie all’organizzazione più o meno funzionale delle istituzioni, né tantomeno alla guida degli esperti. L’umanità non è né un esercito né una chiesa, ma una massa anarchica indomabile che aspira unicamente alla sopravvivenza. Con tutti i pro e i contro della cosa.
Il pro sta sicuramente nell’opposizione alla rassegnazione insita nell’energia vitale. Andare avanti, sempre, comunque, nonostante tutto. L’istinto di sopravvivenza ci permette di affrontare anche l’orrore e di non venirne sopraffatti.
Il contro è un prezzo in termini di bestialità che solo gli individui più “umani” sono capaci di limitare. Gli uomini cioè, pur di sopravvivere, possono trasformarsi in belve, in individualisti senza scrupoli capaci di sacrificare la vita del simile per salvare la propria.
La grande sfida della massa umana oggi è proprio quella di non cedere alla scorciatoia dell’inbarbarimento, unendo la propria spinta alla vita al rispetto e alla salvaguardia della vita del vicino.
Solo la solidarietà ci può salvare. Dandoci una mano concretamente, nei piccoli grandi gesti del quotidiano, costruiamo la vera barriera al virus. Perché l’aiuto non passa attraverso il toccarsi o il parlarsi da vicino. Passa piuttosto attraverso la parola e il gesto, anche quando la prossimità fisica è impedita, sul filo di una comunicazione potente benché a distanza.