La psicoterapia via Skype
La psicoterapia da remoto può riprodurre fedelmente quella vis a vis, sia nella dinamica che negli effetti.
Nonostante l’incontro dal vivo non si verifichi, e quindi venga a mancare l’impatto con la corporeità dell’altro, l’ascolto conserva inalterate le sue proprietà curative.
Le cure avviate
Nel caso di cure già avviate, che per motivi davvero contingenti (e non legati alla semplice pigrizia di uscire di casa) si trovano a dover essere interrotte, le telefonate o le video chiamate possono divenire ottimi sostituti.
Il terapeuta e il paziente condividono già una conoscenza reciproca in termini di mimica e gestualità, per cui l’assenza del canale visivo o la sua riduzione alla dimensione bidimensionale dello schermo possono venir tranquillamente compensate dalla memoria inconscia, lasciando così spazio alla parola.
Se l’investimento nella terapia è elevato, la telefonata non si riduce a pura chiacchiera. Come in ogni percorso possono verificarsi sedute più o meno vuote, ma in ogni caso esse non si discostano molto da quelle classiche nella misura in cui vengono prese sul serio da ambo le parti.
Il terapeuta “sente” senza bisogno di vedere quando il paziente è davvero dentro al discorso, così come quest’ultimo percepisce per vie non visive la presenza e la profondità dell’ascolto che gli viene accordato.
Lo sguardo dell’altro arriva inoltre anche in assenza della vista. La sensazione di venir guardati passa persino al buio, perché l’immaginazione e i nostri sensi sono in grado di captare lo sguardo per altre vie, in parte imperscrutabili.
Una certa corporeità può essere evocata anche dalla parola e dai silenzi che passano lungo il canale telefonico.
Tuttavia il telefono, diversamente dal colloquio faccia a faccia, può consentire, se lo si vuole, di tenersi al riparo dalle emozioni. Può dunque essere utilizzato come un guscio protettivo, che, riparando all’angoscia dell’esposizione, non permette un superamento pieno di atteggiamenti fobici e ansiosi.
È vero d’altro canto che, in situazioni di forte titubanza proprio rispetto a tale esporsi, telefonare anziché recarsi direttamente in studio può offrire una sorta di via d’accesso “protetta” alla terapia, garantendo una specie di impatto “attutito” con il reale della clinica.
In alcuni casi la sensazione di poter raggiungere il terapeuta facilmente si dimostra da sola in grado di favorire compensazioni e stabilizzazioni.
Poi c’è chi proprio non può fare a meno della presenza, dell’impatto vivificante dello sguardo dal vivo e allora quanto appena detto non solo non si adatta ma si rovescia nel suo contrario. Telefonare inibisce, incontrare di persona scioglie.
Le nuove domande
Skype a differenza del telefono introduce l’immagine, la mimica, ed è pertanto indicato nei casi in cui paziente e terapeuta non si sono mai visti o si conoscono molto poco, sempre nell’orizzonte di un qualche impedimento nel vedersi di persona (tipicamente abitare in città diverse).
Chi accetta una terapia da remoto, perché magari vive all’estero e necessita di un supporto nella propria lingua madre, ha già messo in conto i limiti di un approccio simile ma tendenzialmente la sua motivazione è tale per cui gli ostacoli preventivati si rivelano molto meno impattanti del previsto.
Nel complesso, per quanto riguarda i casi già avviati, valgono le stesse considerazioni per la terapia al telefono. Se i due attori del processo riescono a lasciarsi andare dimenticandosi del mezzo e della situazione “artificiale”, l’effetto dell’incontro si ricrea nella sua totalità, anche fisica.
Si pone poi la stessa questione della maggior “freddezza” data dalla distanza dei corpi. Ma essa è superabile, oltre che grazie alla solidità della domanda di cura, anche in virtù della capacità del terapeuta di “arrivare” emotivamente al paziente, di far percepire pienamente che non si tratta solo di una chat, di un elenco di domande o di una conversazione soft, pur sempre nel rispetto delle difese del suo assistito.
Lo strumento Skype (o simili) può essere padroneggiato con successo solo da terapeuti di talento e di esperienza, perché sanno unire scioltezza ed empatia ad attenzione chirurgica e sguardo clinico, in un mix per altro necessario in ogni percorso terapeutico.
Un terapeuta che si tenga troppo sul versante del distacco rischia di accentuare l’effetto distanza, concorrendo a far scivolare l’incontro in una modalità burocratica o ansiogena. D’altro canto quello eccessivamente simpatico può far dimenticare che si tratta di terapia, incentivando atteggiamenti da amiconi che portano fuori strada rispetto all’obiettivo.
In ogni caso se chi conduce la cura e chi la richiede sono entrambi sostenuti dal desiderio di costruire qualcosa insieme, con serietà, dedizione e curiosità molto può accadere sul piano psichico.
I nuovi strumenti
Il contemporaneo va capito e abitato. Esso ci sfida ad abbandonare posizioni preconcette e puriste, il che non necessariamente si traduce in adattamento passivo o in imbarbarimento.
Possiamo, tenuto conto delle nostre basi solide nella “classicità”, avventurarci nell’esplorazione e nella sperimentazione senza per questo perderci o rinunciare a lavorare secondo i nostri principi.
Così la modalità Skype, impensabile per i nostri riferimenti culturali semplicemente perché non esisteva, può venir indagata e integrata come una scoperta possibile in più rispetto all’umano.