La sospensione del giudizio
La lucidità nell’inquadrare correttamente persone e situazioni può essere offuscata da una serie di fattori che fanno interferenza con una lettura equilibrata delle cose.
Le persone, per muoversi nella complicata danza relazionale, si basano per lo più su meccanismi riflessi di rispecchiamento, che, se permettono di “cavarsela” con successo in termini di adattamento sociale, da soli non bastano per non prendere abbagli e cantonate ad un livello più profondo.
Che cosa annebbia dunque più frequentemente la così detta capacità di giudizio? E come preservare una bussola orientativa nelle relazioni senza che essa si trasformi per l’appunto in giudizio rigido e inflessibile? Come garantire una sospensione delle opinioni pur nel rispetto del proprio sentire e al tempo stesso della strutturale inconoscibilità dell’altro?
I fattori di distorsione
Ciò che maggiormente ostacola una visione “pulita” dell’altro e delle sue reali intenzioni, sentimenti, caratteristiche ecc… è generalmente l’aspettativa legata all’interesse che egli suscita.
Più l’altro è desiderabile ai nostri occhi, più desideriamo piacergli, più rischiamo di essere o troppo indulgenti o troppo severi e aspri nei suoi confronti.
L’eccesso di benevolenza si nutre della speranza di venir apprezzati, mentre il rovescio si alimenta della paura della mancata corresponsione di simpatie. In entrambi i casi il fascino che l’altro esercita sbilancia, perché richiama desideri e timori, rende vulnerabili e quindi meno oggettivi nelle proprie valutazioni.
Ma accade anche il contrario, cioè si può sottostimare o sovrastimare qualcuno per il fatto che non ci affascina per nulla o addirittura ci ingenera una potente antipatia; allora è più facile non soffermarsi sulle caratteristiche positive della sua persona per non curanza e disinteresse, o all’opposto può capitare di vedere in maniera iperlucida e a volte forse troppo generosa le sue ricchezze, capacità, sentimenti ecc..proprio per via di meccanismi compensatori.
C’è da dire che il magnetismo dell’altro non è mai qualcosa di puramente oggettivo, ma è di solito accordato sulla base della storia personale di chi lo avverte; tipicamente un uomo può ricordare il padre e una donna la madre. Più sfumatamente qualcuno ritenuto fortemente attraente può evocare qualcosa di inspiegabilmente familiare e conseguentemente attivare un desiderio di riconoscimento e di cura.
Le conseguenze di questi bias di lettura possono essere molto dolorose, in campo lavorativo, amicale e soprattutto amoroso. Se il capo, il dipendente, il collega o l’amico provocano certi echi, involontariamente possono innescare reazioni forti, che si potranno poi concretizzare in eccesso di arrendevolezza, in sadismo o in rivolta furiosa.
Ma è vero anche l’opposto: qualcuno che non affascina e non ipnotizza per nulla può essere preso sottogamba o addirittura di mira e ciò può portare ad azioni azzardate, improprie o irrispettose proprio per effetto di tale svalutazione.
In amore il fenomeno è ancora più esplosivo: la razionalità può andare a rotoli, portare ad azioni insensate o, peggio, mettersi al servizio di insane elucubrazioni mentali, dei fantasmi di rifiuto e di tutto il correlato delle paure che chi fa breccia attira inconsapevolmente su di sé.
In tutti questi casi accade non solo che la ragione vada in tilt, perché accecata dall’aspettativa, ma che cominci anche ad elaborare interpretazioni (anche coerenti) sulla base di false premesse, un po’ come fanno certi paranoici con problemi mentali seri.
Quali soluzioni?
Ciò che è difficile fare (quando vi si è finiti dentro) è uscire da tale tunnel rimuginativo, sgombrare la mente e spersonalizzarsi, guardando la situazione da fuori, con occhio imparziale e animo disteso.
L’età e l’esperienza aiutano in tale senso, così come un buon equilibrio di base e un discreto livello di sicurezza personale.
Anche la guida di un esperto o di una figura autorevole che ha dalla sua la conoscenza di queste dinamiche e l’imparzialità della visione, può aiutare parecchio a reinquadrare sotto la giusta lente molte situazioni complesse.
Il segreto sta sempre nella messa fra parentesi dei pensieri che scaturiscono dai propri sentimenti di pancia.
Lasciarli sedimentare e poi chiedersi se si è davvero sicuri di non aver tralasciato dettagli importanti, primo fra tutti il fatto che è strutturalmente impossibile entrare nella testa di un’altra persona e coglierne tutta la complessità.
L’errore più comune è poi quello di interpretare l’altro a partire da se stessi, da come si è fatti, da come si agisce e si ragiona e trarre poi delle conclusioni.
Bisogna dunque esercitarsi in un’arte difficile ma necessaria per eliminare sofferenze inutili e sterili recriminazioni.
Le relazioni umane, se le persone si impegnassero in un lavoro simile, sarebbero molto meno avvelenate, molto meno cariche di esplosività.
Se ciascuno degli attori di un processo relazionale riuscisse a vedere la propria parte, ovvero le proprie attese, lacune e distorsioni, i malintesi e le sofferenze non verrebbero eliminate (perché fanno parte della natura umana) ma in ogni caso ridimensionate in nome di una volontà di avvicinarsi davvero al mistero inconoscibile dell’altro.
Ogni volta che giudichiamo siamo nella prigionia di noi stessi; è quando capiamo, intuiamo qualcosa dell’altro e lo accogliamo in quanto “altro” che ci liberiamo un po’ del nostro pesante ego e della schiavitù del passato che l’ha forgiato.
Poi, di ciò che abbiamo davvero colto del nostro prossimo possiamo scegliere cosa farcene, se stare o andare. Ma in ogni caso con rispetto e animo leggero.