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Seconda ondata tra paura e speranza

Per affrontare la  recrudescenza della pandemia e delle limitazioni che stanno impattando pesantemente sulle nostre vite, per ritrovare un po’ di serenità pur nel disagio e nelle preoccupazioni, è necessario rendersi conto di alcune dinamiche psicologiche tossiche in cui ci andiamo inavvertitamente ad avviluppare (traendone anche delle soddisfazioni malate).

Il vittimismo 

Il vizio più comune e più dannoso è quello del lamento e del vittimismo. Prendersela con  il governo, la sanità pubblica, il collega o il vicino di casa sono tutte modalità di scarico della responsabilità dei propri mali sull’altro, che sollevano momentaneamente il morale ma che finiscono con il guastare e fiaccare le energie. 

La vitalità si deprime perché, se la colpa della difficoltà personale è attribuita interamente all’altro, si fa strada nella mente l’idea errata della propria impotenza e ciò apre la via a comportamenti distruttivi e irresponsabili anziché intelligenti e costruttivi. Si rinforza inoltre un piacere sterile della lamentazione, che immobilizza come un’ubriacatura. 

Certo, se la cosa pubblica fosse ben amministrata, se  i politici non fossero ignoranti e corrotti, se le persone si comportassero in maniera assennata e non folle, se, se, se… allora non dovremmo vivere tutto questo. Tutto vero, verissimo. Ma l’autentica coscienza critica è quella che, pur vedendo e denunciando ciò che non va, non si arrende, non cede al disfattismo e si industria nel proprio piccolo a fare qualcosa di buono per la sopravvivenza individuale  e della comunità. 

Infondo quello che sta accadendo dimostra tutta la fragilità dei nostri sistemi politici e sociali di fronte alla variabile fuori controllo di un virus mai visto prima. E qui in gioco non c’è solo l’inadeguatezza della politica o dei comportamenti delle masse ma anche una strutturale vulnerabilità dell’umano alle catastrofi naturali. La natura, si sa, è matrigna..

La lucidità 

Risalire lucidamente al nostro essere in balia di forze più grandi di noi in quanto piccoli esseri nelle mani del caso, non avere dunque più nessuno contro cui prendercela per la sfortuna che ci colpisce, può non tradursi in sfiducia e disperazione se riusciamo ad uscire dalla logica delle colpe per contemplare la vita in tutta la sua complessità e contraddittorietà.

Guardare  in faccia i dati di fatto, la spietatezza delle logiche che regolano la nostra sopravvivenza fisica unitamente alla bellezza dell’esserci, ci fa entrare in un altro tipo di discorso.

L’umanità comprende nello stesso cerchio la fragilità del corpo e la forza dello spirito, la  minaccia alla carne e la ferrea volontà verso il bene, l’incomprensibilità del male e l’insondabile piacere di esserci, la stanchezza e la voglia di ricominciare da capo. 

Chi ha esperienza di sopravvivenza a grandi dolori oggi non è così sconvolto dal cambiamento di abitudini imposto dalla pandemia. Non per via del negazionismo che permette a molti di sopportare un’angoscia innominabile, ma grazie ad una sorta di saggezza che ha liberato da tempo dall’inganno di una vita all’insegna del “confort”, dell’affermazione di sè e della piacevole distrazione.

C’è una resa non passiva nel coraggio di andare avanti, e nel nostro piccolo tutti noi oggi lo possiamo esercitare, senza sciocche esibizioni di eroismo ma accettando semplicemente un cammino quotidiano di rinunce. Apprezzando ciò che resta e mettendo al servizio della comunità le energie riconquistate dal vortice della passività e della lamentela senza costrutto.

La speranza 

Abbiamo davanti un lungo inverno; ma non funziona pensare solo che la  primavera ci libererà, che arriveranno i vaccini, che torneremo alla vita di prima. Forse, ciò che eravamo prima, non lo troveremo più. 

Oltre a bandire il lamento c’è da rifiutare l’idea consolatoria di una rinascita senza costi; la speranza è un altro antidoto potente alla disperazione, ma anch’essa non può ridursi ad un rifugio che ci chiude gli occhi sul futuro. 

La speranza va oltre l’aspettativa della  gratificazione materiale, del premio, del lieto fine; ambisce ad altro, ovvero alla sopravvivenza della fiammella vitale nel cuore provato dalle difficoltà, alla permanenza sempre e comunque di qualcosa che ci fa dire che ne vale la pena.

Non sarà tutto bello, dopo. Per due motivi: intanto le tragicità della vita resteranno, non se ne andranno via con il covid. Poi le conseguenze di un trauma collettivo come questo lasceranno dei resti, non solo dal punto di vista economico e politico. 

Già oggi, che ci siamo dentro, fa impressione guardare dei film girati o leggere dei libri scritti  pochi mesi fa, prima della pandemia, in cui bagni di folla, viaggi, baci e abbracci non sono avvolti da nessuna ombra. 

Torneremo ad abolire le distanze, forse a non farci più caso,  ma l’umanità ne serberà memoria, in qualche modo ancora non prevedibile. 

Tutta questa chiusura  ci sta riportando all’essenziale, forse un domani torneremo i consumatori che eravamo ieri, ma magari in modo diverso, in una società dei consumi che sarà  pesantemente colpita proprio nel culto del futile che la alimentava.

Oggi la storia sta scrivendo una pagina in cui ciascuno un giorno si riconoscerà; non opponiamoci al divenire ma cerchiamo in qualche modo di accordarci ad esso, ci servirà per capire qualcosa della vita e per fortificarci di fronte alle prove che ci attenderanno nel nostro percorso um

Disagio contemporaneo

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