La sindrome di Peter Pan
La figura di Peter Pan (un personaggio letterario, ibrido fra uccello e bambino), viene comunemente evocata per indicare l’immaturità emotiva tipica di alcuni soggetti, appartenenti soprattutto al sesso maschile. In genere se ne parla al maschile non tanto perché il problema riguardi solo gli uomini, ma soprattutto perché esso trova nella minor dimestichezza maschile con il mondo delle emozioni un humus più favorevole.
La così detta sindrome non va confusa con la possibilità, insita in ogni uomo, di accedere al “fanciullino” interiore, territorio di stimoli e suggestioni utili alla creatività, al gioco e alla spensieratezza. L’adulto pienamente tale è infatti capace di “regressioni” produttive, di comprendere e utilizzare cioè alcuni linguaggi tipici dell’infanzia per vedere le cose da altre prospettive, per distrarsi, per non dimenticarsi il valore del gioco pur conservando la sensibilità e il gusto di una persona emotivamente evoluta.
Il Peter Pan corrisponde al profilo del narcisista? Il suo è un disturbo della personalità? Il blocco che lo tiene ancorato a una modalità infantile di approccio alla vita e alle relazioni è reversibile?
Le differenze con il disturbo narcisistico
In molti casi in effetti le sovrapposizioni con i disturbi della personalità di tipo narcisistico sono evidenti. Tuttavia il termine coglie alcune sfumature che il registro freddo del linguaggio psichiatrico o quello più complesso delle spiegazioni psico dinamiche non cattura con la stessa forza. Il narcisista infatti viene associato a un personaggio egoista, emotivamente freddo e cinico, ai limiti della psicopatia. La dinamica della sua psiche lo vede intrappolato in un rapporto a senso unico con lo specchio, preso dal proprio Io in una maniera tale da non poter integrare frustrazioni, punti di vista altrui e ridimensionamenti senza cadere in baratri depressivi.
Se tutto ciò è senz’altro vero, la figura del Peter Pan ritrae bene colui che, pur capace di affetto, di voler bene e di avere slanci di generosità, non riesce ad accedere alla complessità e ricchezza del sentimento, proprio come il bambino. La sua dunque non è assenza di affettività, non è aridità. Il suo armamentario emotivo è però rudimentale, non conosce la sofisticazione di quello adulto.
Per questo ad esempio può voler bene alla fidanzata, anche concretamente aiutarla, ma non sentire nessun vincolo interiore. L’infedeltà del Peter Pan non avviene sulla scia dell’amore per un’altra persona o di una forte attrazione fisica, con tutto il correlato di conflitti che si ingenerano in una mente dotata di coscienza. Essa scaturisce dal puro, banale desiderio d’altro, come per l’appunto quello del bambino che vede il giocattolo più nuovo e lo vuole, poi ne vede un altro ancora e vuole anche quello.
In quest’ottica l’assenza di senso di colpa non è da imputare ad anaffettività ma alla semplicità di una psiche acerba, catturata dall’immagine, sorda a linguaggi più raffinati sotto il profilo emotivo e mentale. E il discorso non riguarda solo l’amore ma anche le relazioni più in generale, gli studi, il lavoro. Il Peter Pan assaggia un po’ di tutto e si stufa subito, perché non riesce a trarre un vero nutrimento dall’esperienza, che per lui si limita al piacere – dispiacere, senza contemplare altre dimensioni. Per questo teme massimamente ogni situazione frustrante, non conoscendo altra modalità di fronteggiarla che non sia la fuga.
Anche il cambiamento è un terreno su cui non si trova a proprio agio, proprio per la quota di fastidio ad esso associato. Il suo muoversi di fiore in fiore, di situazione in situazione non è il segno di una personalità in continuo cambiamento, ma al contrario di una spinta erratica sostenuta unicamente dalla corsa verso il piacere e dalla fuga dal dispiacere.
Questo modo di vivere, che può essere considerato “normale” nella giovinezza, ovviamente crea dei problemi mano a mano che ci si avvicina alla maturità. Molti Peter a Pan chiedono aiuto più per i rimandi che ricevono dagli altri che per una loro volontà di capire cosa non funziona. Se non fosse per le fidanzate e i genitori, che li rampognano per la loro vacuità, loro starebbero benissimo. L’unico cruccio sarebbe costituito dalla constatazione che la loro condotta li porta a non fare scelte desiderabili dalla società, come avere figli, metter su famiglia, avere un lavoro stabile ecc…Ma nel contesto attuale, in cui i dettami del vivere sociale non sono più quelli di una volta, i Peter Pan non si trovano così male, avendo a disposizione un grande parco gioco in cui trastullarsi.
Le cause profonde e la cura della sindrome del Peter Pan
Se la sindrome descritta è l’eco di una fissazione all’infanzia, come si è venuta a creare tale impasse? Di nuovo in gioco c’è la complessità dell’ambiente familiare di provenienza. In genere sono due le polarità opposte che possono determinare un arresto dello sviluppo, che sottendono però la stessa dinamica. Capita che nella famiglia vi sia un genitore dominante che fa coppia con il figlio a discapito del rapporto con il partner, considerato meno di zero oppure tacciato di essere un mostro.
Ciò sia nella polarità “permissiva” che in quella “autoritaria” . In entrambi i casi il rischio che in tale partnership adultizzante venga soffocata la possibilità dell’autonomia emotiva, prerequisito della crescita, è forte. Rifiutarsi di diventare “grandi” assume il senso di poter vivere uno stato perenne di spensieratezza, negato nel tempo dell’infanzia. Inoltre la dipendenza da una qualche figura di riferimento funge da baluardo contro l’incombenza della frustrazione. Bisogno e fuga dal legame sono i due movimenti della rudimentale e ciclica altalena emotiva dell’eterno ragazzo.
Come si diceva l’immaturitá raramente è percepita come causa di malessere per sé stessa. Sono gli altri ad inviare in cura queste persone, oppure arrivano da sole per venire rassicurate rispetto alla percezione della propria diversità nei confronti delle aspettative e degli standard sociali.
In genere è facile che il discorso si sposti sull’infanzia e non di rado va a toccare i nodi problematici dei rapporti familiari. Si tratta infatti di individui che parlano, che si aprono senza troppe difficoltà. Ma essi, a discapito della facilità con cui parlano, spesso non sanno che farsene della parola, che per loro resta uno sfogo, un’esperienza piacevole, anche rassicurante, ma nulla di più.
Se la parola non tocca, non fa breccia, ciò si spiega sulla base della stessa superficialità che caratterizza questi quadri. Perché qualcosa possa muoversi bisogna che il movimento di entrata nella cura non sia caldeggiato da nessun altro che non sia il paziente stesso. Un lutto, un dolore grande “nel mezzo del cammin” possono spingere in tal senso ma poi sono necessari molto tempo e molta pazienza.
Il potenziale maturativo della frustrazione può non andare sprecato se amplificato e trattenuto in terapia, un luogo dove, già stando, si può operare un minimale arresto della fuga inconcludente del Peter Pan.
Rapporto uomo donna, Disagio contemporaneo