Chi si lamenta non vuole cambiare

Lamentarsi è un ottimo modo per non confrontarsi davvero con se stessi. Chi si lamenta infatti non fa altro che esteriorizzare la propria frustrazione, buttandola all’esterno, senza che si attivi nel suo intimo la benché minima ombra di consapevolezza.

La sterilità del lamento 

La parola non viene mobilitata per venir messa al servizio del ragionamento e della ricerca di strategie per risolvere la situazione sgradevole. Il lamentoso parla tanto per parlare, per passare il tempo o per suscitare un effetto sull’altro  (e dunque per manipolarlo). Spesso e volentieri lamentarsi gli serve per innalzare la propria carente autostima, svalutando qualcuno o qualcosa davanti a un “testimone” più o meno compiacente.

La lamentela di questo tipo la si riconosce e la si differenzia dall’espressione di un vero moto di sofferenza per la sua pervasività all’interno del discorso, che non si discosta mai dai toni monocordi e noiosi della cronaca e dall’insistenza sul dettaglio insignificante.

Chi soffre autenticamente infatti, passato il momento di maggiore intensità espressiva dovuto alla presenza effettiva del dolore, mostra una variabilità nelle argomentazioni che elabora intorno al problema che lo fa patire e una porosità verso i punti di vista espressi dall’altro, non scartati subito come inadeguati né sposati immediatamente come “La” soluzione.

La lamentela infatti è una modalità estremamente autoreferenziale: chi si lamenta parla a se stesso e non all’altro, i rapporti che predilige sono quelli cosiddetti speculari, in cui si crea una falsa e temporanea complicità basata sullo sfogo e l’immedesimazione reciproca. Il contraddittorio non  viene tollerato per il semplice motivo che porterebbe a pensare, quindi in qualche modo a mettere in discussione anche la propria modalità di vedere, sentire e reagire agli eventi.

Il meccanismo della lamentela è estremamente insidioso perché gratificando l’Ego, dando una soddisfazione immediata, costruendo attorno a sé l’apparente assenso dell’altro, imprigiona  in una realtà alla fin fine artificiale, indebolendo progressivamente sempre di più la possibilità di affrontare il reale per quello che è e non per ciò che dovrebbe essere.

Accanto a tale fiacchezza si osserva in parallelo lo sviluppo di un approccio sempre più dipendente rispetto agli altri e alle circostanze. La personalità del lamentoso cronico non arriva mai ad un compimento, ad una presa di posizione forte (che dopo la delusione apre a nuove visioni, nuove idee e quindi nuove esperienze). 

L’accettazione non passiva, la grinta, l’umorismo, la voglia di fare, l’energia vitale stessa sono tutte condizioni precluse a chi resta chiuso nella sua nube di negativismo 

Perpetrando una modalità simile si resta così sempre ancorati al punto della frustrazione,  al suo mancato superamento, e quindi ad una condizione infantile di fragilità e di dipendenza.

Purtroppo la società in cui viviamo non incentiva l’uscita dall’infantilismo; sembra che la nostra condizione di consumatori ci renda vittime privilegiate di dinamiche simili.

Affascinati dall’immagine splendente dell’oggetto siamo dipendenti dall’idea falsa che la vita vera debba coincidere con uno stato di beatitudine continua e senza strappi. Ogni piccola perturbazione di questa illusione provoca drammi anziché importanti prese di coscienza su chi si è e sul valore stesso della vita. 

La frustrazione in questo modo non insegna nulla, ma viene vista solo come il male assoluto da evitare (e se non si può farlo come la sciagura di cui lamentarsi senza costrutto).

Il potenziale di risveglio delle avversità 

In realtà a ben vedere in ogni cosa negativa che ci accade possiamo non tanto vederci il buono (che raramente c’è) ma almeno l’occasione di aprire gli occhi rispetto a come viviamo, rispetto a cosa vogliamo veramente. 

L’evento che turba il congiungimento pieno con le nostre aspettative ha questo potenziale di risveglio. La battuta d’arresto, anche quella forzata, può scatenare in noi una visione di dettagli e sfumature che nel tran tran della vita sfuggono, soprattutto quando ci ritroviamo ad attraversare dei momenti spiacevoli e dolorosi.

L’evento che rompe la stupidità automatica del vivere, se lo accettiamo per quello che è, se lo fronteggiamo in maniera attiva senza farci sovrastare ma senza nemmeno volerne negare l’impatto, ci riporta in una dimensione profondamente umana. 

Questa dimensione tiene insieme fragilità e voglia di farcela, ci permette di toccare con mano la nostra essenza, effimera, evanescente, dolente, condannata alla morte, ma allo stesso tempo partecipe dell’energia creativa che permea il mondo.

Per questo dopo il primo, umanissimo pianto di fronte alla perdita, siamo chiamati a non indulgere nell’autocompatimento, nella paura, nell’aggrapparsi regressivo. In queste tentazioni dobbiamo riuscire a vedere l’aspetto involutivo, la protesta infantile verso la cacciata dall’Eden e rimboccarci di conseguenza le maniche per realizzare qualcosa nonostante e forse proprio grazie alla fortuna avversa. 

Nelle sedute di psicoterapia, come nella vita,  vale lo stesso discorso. Se le ingorghiamo con il lamento perdiamo l’occasione di renderle fertili e fruttifere.

E sta solo a noi farlo: la mente del terapeuta al contatto con il lamento si spegne, perde energia, mentre può esplicare la sua funzione di elaboratore “supplementare” solo nell ’incontro con la disponibilità a voler vedere e guarire davvero.

Disagio contemporaneo

Altri articoli di attualità

L'incontro con lo straniero

Davanti al progressivo aumento nelle nostre città di soggetti provenienti da altri paesi assistiamo ad un parallelo incremento del sentimento dell’angoscia nei cittadini. Perché ci angosciamo? Siamo i soli a sentirci disorientati dal contatto con il diverso o accade anche allo straniero stesso di sentirsi insicuro e diffidente?

Leggi l'articolo

La cura della lettura

In questi giorni di grande chiusura, in cui in molti si trovano in difficoltà perché a tu per tu con un grande vuoto di parole, un antidoto veramente potente è costituito dalla lettura.

Leggi l'articolo

La grande incognita

La prima metà di agosto è alle spalle; il mese di settembre, come ogni anno, non sembra più così lontano.

Leggi l'articolo

L'essere, la mancanza e la schiavitù del possesso

L'essere umano è mancanza a essere, è cioè attraversato da una mancanza incolmabile, legata alla sua insufficienza strutturale, allo strappo patito rispetto ad un tempo mitico di pienezza. L'oggetto, insegna Freud, è da sempre perduto, può solo venir cercato all'infinito. Ogni suo ritrovamento nel reale è un inganno, un'allucinazione. La mancanza non si colma, non si può colmare, mentre la pulsione continua a spingere con forza acefala verso i suoi oggetti nonostante il niente appaia regolarmente al fondo di ogni soddisfazione puramente materiale.

Leggi l'articolo

Pandemia: la strana calma nel dramma

In molti, in questi giorni sospesi, stanno sperimentando una sensazione contro intuitiva rispetto alle attese.

Leggi l'articolo

Fronteggiare la malattia

La malattia, la lesione, il deteriorarsi di un organo, una parte del corpo per gli esseri umani non sono soltanto fenomeni che investono la sfera somatica. Essi hanno un impatto enorme soprattutto sulla psiche di chi ne viene colpito.

Leggi l'articolo

Il valore dei "no" del padre

La più importante e strutturante forma di limite che un essere umano normalmente dovrebbe incontrare agli albori della sua esistenza è quella incarnata dalla figura paterna. Alla necessaria fusionalità con la madre sarebbe cioè auspicabile che seguisse una "castrazione simbolica" operata dal padre, il quale, riattirando su di sè il desiderio della donna, staccherebbe così il bambino da quel godimento assoluto.

Leggi l'articolo

Insegnare: quando manca la passione

È esperienza comune purtroppo imbattersi in insegnanti che non solo non amano particolarmente il proprio lavoro, ma che lo fanno anche di malavoglia, con svogliatezza e senso di frustrazione. 

Leggi l'articolo

Rispetto e amore

Il termine rispetto viene dal latino e significa letteralmente “guardare indietro”. Il verbo “respicere” sembra alludere a qualcosa di più profondo di una semplice osservanza di una regola.

Leggi l'articolo

La psicoterapia online

Prima dell’emergenza Coronavirus una fetta importante di psicoterapeuti era piuttosto scettica sulla fattibilità ed efficacia della psicoterapia così detta “online”.

Leggi l'articolo

Sapersi arrendere

La forza del carattere viene generalmente associata alla capacità di andare avanti nonostante le difficoltà, al saper insistere, al voler trovare strategie per aggirare gli ostacoli, al non demordere di fronte alla possibilità di realizzare un obiettivo importante sopportando fatica e frustrazione.

Leggi l'articolo

Amori virtuali

Oggigiorno tra i giovani (ma anche tra molti adulti) sembra che il sentimento dell’amore non possa più sganciarsi dall’influsso del mondo dei social, con i quali le persone si cercano, si inquadrano e si studiano. 

Leggi l'articolo

Dott.ssa Sibilla Ulivi, psicologo e psicoterapeuta

Via della Moscova 40/6 • 20121 Milano
N. iscr. Albo Ordine degli Psicologi 03/8181 • Partita Iva 07679690961