Ansietà, insoddisfazione e fretta esagerata. Quando il rapporto col tempo si guasta
L’arte più difficile ma indubbiamente salvifica per l’equilibrio interiore consiste nel vivere il presente senza il pensiero continuo del domani.
Ma come avvicinarsi a tale stato di grazia se si è adulti responsabili, costretti con il tempo a farci i conti ogni istante?
Il tempo nell’infanzia
I bambini non ancora troppo inquadrati dall’educazione ci mostrano involontariamente quanto la gioia sia connessa alla dimenticanza della dimensione temporale.
Incalzati dalle mille incombenze del quotidiano i genitori mal sopportano la modalità infantile dei loro figli, quel loro perdersi in mille rivoli, giochi e osservazioni proprio quando c’è fretta di andare.
L’infanzia è l’età della vita in cui l’eterno presente regna sovrano, tutto il mondo è acceso dalla curiosità, le emozioni sono vivide e non filtrate dalla ragione. L’esperienza immediata delle cose tiene il bambino ancorato alla gioia e al dolore, all’esplorazione priva di paraocchi e dunque a vissuti pieni di sensorialità e gusto.
Sappiamo però quanto la libertà infantile possa essere pericolosa per il bambino stesso e la sua crescita se non mitigata da qualche limite.
L’autocontrollo è altrettanto necessario per vivere, e più esso aumenta e diventa consapevole più ci si allontana dalla dimensione magica dell’infanzia, dalla creatività che la contraddistingue e da quel senso di pienezza che origina dalle piccole cose.
La vita adulta e il tempo della performance
La vita adulta, nella contemporaneità ingombrata a dismisura dal lavoro e dalla necessità di performare in tutti gli ambiti, patisce di un malessere che somiglia ad un’insoddisfazione cronica. Una sorta di anedonia, di senso di vuoto che si intreccia ad un’ansietà di fondo, un’allerta perenne.
I giorni di vacanza, ovvero i giorni i cui si allenta la tensione del “fare” quotidiano, sono spesso le spie impietose di tale disagio. “Cosa facciamo” è uno dei tormentoni principali di qualsivoglia vacanza o week end, come se il “fare”, da programmare senza troppa approssimazione, fosse l’ancora a cui aggrapparsi per sfuggire alla noia. E come se in quello stesso “fare” ci fosse la promessa di godere finalmente di una qualche felicità.
Il film, la cena con gli amici, il dato ristorante, l’ambita meta turistica sono però, fatalmente, una volta consumati e goduti, tristemente deludenti. E dunque via a programmare i prossimi appuntamenti, nell’illusione che domani vada meglio. Tutto diviene prevedibile e spento, perfettamente organizzato ma senza anima, senza gioia.
Il consumismo che inghiotte persino i giorni di festa è considerato perfettamente normale nella vita quotidiana. Se la vacanza fornisce l’occasione per porsi qualche domanda, nel day by day la gente trova assolutamente legittimo dannarsi per la metropolitana persa o la fila alla cassa del supermercato, perché sono ritardi sulla tabella di marcia del “fare”.
Basta qualche intoppo minimo rispetto allo schema a mandare in ansia, a suscitare sentimenti di rabbia e di frustrazione. Bisogna riuscire a portare a termine le attività nei tempi e ad incastrare tutti gli appuntamenti perfettamente, in un dinamismo che diventa una morsa mortale perché distoglie dalla propria umanità e fa diventare macchine produttive che finiscono per scalpitare nell’attesa, nello stop forzato alla loro corsa.
Il risultato è alienante, sembra che la vita adulta sia tutta un gioco ad incastri dentro e fuori casa, in cui peraltro i bambini sono spesso un intralcio. Tanto bellini da esibire sui social quanto oggettivamente dei pesi da dover sistemare come dei tasselli di un puzzle che ha più pezzi che caselle disponibili.
Bisogna correre sempre e comunque, per mantenere un lavoro, per avere successo, per essere belli, per non venire travolti dall’invisibilità… Alla fine bisogna fare e programmare per esistere, è una questione di sopravvivenza.
Qualche volta le droghe danno una mano ma poi si sa, tirano ancora più giù…E allora il salutismo, le diete, lo sport , per mantenere efficienza e con essa la possibilità di performare. Oggi c’è pure questa nuova patologia emergente, detta “ortoressia”, una fissazione rispetto al mangiare sano, un vero e proprio disturbo ossessivo compulsivo.
Che fare per combattere la nevrosi da fretta?
Forse cominciare a porsi delle domande può costituire il primo passo per ritrovare un po’ di grazia e di gioia di vivere. Se esistono dei condizionamenti inaggirabili pena l’esclusione sociale e lavorativa c’è poi tutta una parte che sta al singolo sviluppare per non venir inghiottito dal sistema e cancellato come essere pulsante e vivo.
Riuscire a vedere il meccanismo che induce certi bisogni e dunque crea le relative frustrazioni può aiutare. Così come può essere utile prendere l’abitudine di osservarsi dall’esterno, per non rassegnarsi a venir comandati dagli umori e per cercare di identificare le cause vere dell’ansia e dell’insoddisfazione patite.
Se ci si riconosce nel meccanismo descritto, nel senso di vuoto e di fatuità esistenziale tipici del consumatore iperattivo e salutista c’è da fermarsi davvero, non solo per riflettere sulla propria condizione ma anche per prendersi del tempo materiale per staccare dal circolo perverso.
Se la vita moderna comporta strutturalmente un dinamismo dobbiamo identificare là dove siamo noi a permettere l’esasperazione del comandamento sociale.
Imparare a staccare veramente sarebbe un obiettivo ma esso non può limitarsi al tempo libero o alle vacanze. Riuscire a godere veramente del tempo senza entrare in performance agonistica è già molto per la propria qualità di vita e benessere mentale. Però non basta e soprattuto non riesce se non si applica nella vita di tutti i giorni una certa attitudine mentale, così spontanea nel bambino e così alinea alla nostra natura di esseri adulti e produttivi.
Tale attitudine consiste nella concentrazione, nonostante l’azione che connota le nostre giornate, sulle piccole cose insignificanti che tanto attraggono l’attenzione dei bimbi. Una nuvola, una luce particolare, un odore, una sensazione corporea.
Bisogna cercare di riconnettersi alla sensorialità, sforzarsi di guardare le cose e le persone come se racchiudessero un mistero che ci sfugge. E stare concentrati sull’oggi, sul presente, non permettere alla mente di intossicarsi con il pensiero del “what next” .
Le giornate stracariche di impegni così come quelle libere dei giorni di festa possono essere approcciate nella stessa maniera, istante per istante.
Data una programmazione di base poi c’è da affidarsi al flusso degli eventi, non controllabile, non prevedibile. Accogliendo l’appuntamento disdetto non come una perdita di tempo ma una sorpresa che dona alla giornata un margine di imprevedibilità e ci ricorda che non tutto dipende da noi e dalla volontà.
Abbiamo bisogno di stare qui, ora, senza volgere lo sguardo a domani, valorizzando il momento presente in termini di esperienza, fluendo con esso piuttosto che con la “to do list” che ingrigisce e rinsecchisce ogni vissuto.
Ad un abbandono del genere ci si arriva se siamo disposti a fare i conti con i nostri limiti, ridimensionando il narcisismo e accettando di essere noi stessi soggetti al mutamento del tempo.