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Christmas Blues: la tristezza delle feste

Chi lavora con il disagio emotivo lo sa bene: il Natale è in grado, più che di allietare i cuori, di aprire vecchie ferite o di acuire lacerazioni non ancora rimarginate. 

Ma quale Natale induce tutto ciò, quello della speranza (che festeggia frugalmente la ricorrenza della nascita del Salvatore) o quello consumistico (che esalta il potere d’acquisto di oggetti, il buonismo a tutti i costi, i lustrini e il falso calore di rapporti familiari logori ma apparentemente scintillanti?)

La costrizione del Natale ideale

È chiaro come sia il correlato di lucine, di retorica e di spinta al consumo a imprimere sentimenti di tristezza e di vuoto, soprattutto in chi vive situazioni di disagio. 

La rappresentazione sociale della lietezza, dell’agiatezza e dell’armonia familiare ingenera un forte senso di frustrazione nelle persone la cui difficoltà è di natura economica o familiare, mentre può indurre indifferenza o fastidio in chi osserva lucidamente il puntuale rinnovarsi della fredda pantomima di dicembre.

La grande rimozione del reale dei rapporti umani incarnata dall’atmosfera da bomboniera tipica del Natale viene ben percepita dagli operatori nel campo della salute mentale, che conoscono dal dentro i risvolti tristi di tante felicità esibite o la disperazione di chi visibilmente non ce la fa.

Sentirsi esclusi dalla supposta “festa collettiva” può essere molto doloroso, se tutto l’anno si combatte per il lavoro che scarseggia o si è alle prese con situazioni familiari complesse, in cui i legami risultano sfilacciati, ridotti al minimo o profondamente ambivalenti (se non addirittura tossici). 

Resistere alla pressione del Natale non è semplice, sottrarsi alle riunioni familiari sembra persino un reato. Il Covid paradossalmente aiuta, il distanziamento che ha imposto ha anche regolato e temperato molti contesti incandescenti, promuovendo una qualche benefica separazione e autorizzando a prese di distanza prima impensabili.

Ma, Covid a parte, il famigerato cenone o pranzo di Natale resta per molti un appuntamento angosciante, in grado di incupire l’umore già dai primi del mese. Il solo pensare di dover ricongiungersi ai parenti stretti, là dove l’equilibrio psichico si basa proprio sulla lontananza da certe dinamiche, funge da dentonatore di stati mentali simil depressivi.

Infatti in gioco in questi casi non c’è semplicemente la prospettiva di una riunione più o meno sgradevole da sopportare. Ciò che fa stare male è soprattuto il riemergere di una moltitudine di ricordi e di sensazioni anche fisiche legate a problematiche familiari irrisolte, i cui effetti sono contenuti ma non azzerati dalla maturità o da anni di terapia. 

Qualcuno tenta di difendersi da un disagio strisciante coltivando delle aspettative, buttandosi a capofitto nello shopping e nella cura della bellezza, confidando nel potere dell’immagine per fare una sorta di maquillage delle magagne emotive, più o meno volutamente rimosse. Il rischio di una colossale delusione non è scongiurato per questa via, anzi, le peggiori scenate nel giorno di Natale nascono proprio sotto la stella del camuffamento scintillante.

Spesso durante le feste c’è poi chi torna a casa, nel paese di origine, e  si ritrova catapultato in un mondo che credeva di essersi lasciato definitivamente alle spalle. La sensazione di estraneità è ancora più forte, ma infondo non dissimile da quella di chi si sposta solo di qualche chilometro. In entrambi i casi emerge un tornare indietro nel tempo, nostalgico e pieno di amarezza. 

La prospettiva del Natale in questo senso porta alla ribalta il tema esistenziale degli anni che passano, della sofferenza in seno alla famiglia e più in generale della solitudine patita proprio là dove il Natale imporrebbe il quadretto ideale. 

La sospensione delle normali attività, del lavoro e degli impegni sociali inchioda alla verità delle proprie esistenze, alle scelte compiute e non compiute, ai perché e ai percome. Il tempo per pensare è troppo, la routine post natalizia è attesa come un balsamo vitalizzante.

Come sopravvivere al Christmas Blues?

Come sempre il primo step per non farsi travolgere da sentimenti depressivi è razionalizzare bene il tema. Se si è in terapia si può cogliere l’occasione (spesso accade spontaneamente), di trattare il tema, sviscerandolo bene.  Il materiale psichico sgradevole che viene visto e riconosciuto perde parte del suo potenziale patogeno, perché la coscienza è una delle grandi armi che abbiamo contro i mali che ci affliggono. 

Una volta isolato bene il nodo problematico viene da sé riuscire a mettere in atto dei comportamenti atti a limitare i danni. Se si riduce il carico di aspettative idealizzanti si è già sulla buona strada per non farsi travolgere dalla delusione. Importante è anche lavorare sull’angoscia quando essa non è mascherata dai riti compulsivi di acquisti e autoinganni.

Il fine è evitare di guastarsi troppo l’animo e sviluppare anticorpi al solito virus familiare. Se tutto l’anno viene svolto un lavoro su se stessi il Natale non coglie impreparati, non illude, non deprime e non sorprende come un momento di cupi bilanci.

Il Natale al fondo è una festa cristiana, per chi crede, una magia per i bambini e un’occasione per gli adulti di un tempo tutto per sé, ben al di là dei rapporti di sangue. Dunque cose positive, portatrici di speranza, forse da approfondire nel loro significato sostanziale in questi tempi così cupi.

Disagio contemporaneo

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