Non arrendersi, mai
La resa di fronte alle difficoltà è la porta di ingresso principale al malessere psichico. Senza parlare dei cali del tono dell’umore quando all’orizzonte non c’è nessuna nuvola, quando tutto è fin troppo perfetto e sereno.
La cattiva abitudine al lamento
Se le problematiche che affliggono sono pesanti e quotidiane esiste comunque una via per affrontarle a testa alta, con un atteggiamento coraggioso e combattivo. La malinconia può occasionalmente prendere il sopravvento, è umano, ma essa va assolutamente arginata e non lasciata dilagare, pena un grande, inutile, dispendio di energie.
Molta sofferenza psichica potrebbe essere definita come una “cattiva abitudine”, una propensione verso il negativismo appresa per il conto proprio o in famiglia nel corso dello sviluppo.
Il compiacimento del malessere è al fondo l’assenso, il sì dell’individuo alle sensazioni negative che lo pervadono, che si concretizza in un lasciarsi andare, un abbandonarsi alla noia, alla chiusura, al lamento, ad un grigio senso di vuoto.
Questa reazione è tipica quando i problemi si accavallano o quando al contrario fila tutto liscio, senza sbavature. La persona si chiude nel suo guscio di “dramma esistenziale” , restando completamente cieca di fronte alla bellezza che resta nonostante le turbolenze o la noiosa bonaccia del quotidiano.
Forse il vizio di farsi coinvolgere dal negativismo è connesso al tipo di vita che si fa oggi, in cui sostanzialmente i bisogni primari sono soddisfatti e la frustrazione origina dalla percezione di non vivere a pieno uno stato continuo di felicità inebriante, promessa del sistema capitalistico e del suo mito del “self made man”.
I falsi miti contemporanei
Gli imperativi moderni, salute, bellezza, amore, successo, denaro, tiranneggiano le coscienze. Da una parte le persone diventano infelici e si incattiviscono se non ce la fanno, dall’altra si instupidiscono in maniera clamorosa se arrivano ad agguantare qualche fetta di torta (e alla fine non è mai abbastanza).
Il predominio dei valori materiali su quelli spirituali causa un indebolimento della capacità di resistere alle avversità o di godere a pieno di ciò che c’è. L’insoddisfazione, l’inquietudine, la noia, l’umor nero e l’ansia bruciano sotto pelle, placate temporaneamente dall’acquisto compulsivo di oggetti, da qualche distrazione inconcludente e ripetitiva.
Il rapporto con gli altri si svuota di profondità e di possibilità di scambio vivo e partecipe; la competizione inquina ogni situazione, gli altri vengono misurati sulla base del grado di successo personale. Le donne puntano in primis sulla magrezza (che non è mai abbastanza), gli uomini sull’atteggiarsi da così detto “maschio alfa” (spesso spaccone, narciso e maleducato).
Tutti cercano di piacere, anziché di essere semplicemente se stessi.
Fuori, in società, brillanti e “arrivati”. Dentro, fra le pareti domestiche, musi lunghi, ricatti emotivi, silenzi e rivendicazioni a non finire. L’amore, che potrebbe ancora esistere, soffoca sotto un cumulo di negatività costituita dai reciproci nodi irrisolti non elaborati.
Che valore ha la psicoterapia?
In molti scatta la ricerca di una soluzione rapida. Viene consultato il guru di turno nella speranza che dispensi consigli e pillole di saggezza. Quando il malcapitato psicologo o sedicente tale si presta ad un uso del genere viene regolarmente scartato, perché non capisce che dietro ad una richiesta superficiale si annida sempre una questione profonda, che si tratta di intercettare al di là della domanda concreta.
La psicoterapia, proprio perché incentrata sulla verità dell’individuo e non sull’apparenza, è un luogo che naturalmente si oppone alla deriva del bipolarismo contemporaneo. Se la gente soffre di stati esagerati di euforia e di down, è perché il discorso sociale incentiva questi vissuti della mente, proponendo l’oggetto come soluzione mondana all’angoscia strutturale dell’uomo.
Gli psicoterapeuti non propongono pratiche spirituali, non sono uomini di chiesa, non aiutano a trovare sollievo nella fede e nella preghiera. La loro è una pratica laica, che si fonda però sulla fiducia incrollabile nelle capacità “positive” dell’uomo, che includono resistenza alle pressioni esterne, adattamento, relativizzazione dei problemi, indipendenza dal possesso, libertà interiore, passione e creatività.
L’essere umano non sa perché è al mondo ma è cosciente del suo progressivo decadimento e della certezza della morte. La sua inquietudine inaggirabile viene da qui. Siamo esseri razionali ma della razionalità non ce ne facciamo niente di fronte al grande problema dell’esistenza che ci angoscia . Ora che “Dio è morto” abbiamo una serie di “cose” che ne hanno preso il posto e che hanno finito per drogarci, renderci dipendenti e farci ammalare.
Non siamo tuttavia solo razionalità. Tutti noi abbiamo percepito meraviglia e gratitudine pur non capendo il perché. E salvo poche eccezioni la maggior parte di noi fa tutti i giorni, che se ne accorga o meno, esperienza di una spinta irragionevole fortissima alla vita.
Allora bisogna capire che possiamo avere la forza di non farci infiacchire da falsi miti e stupidaggini di ogni tipo. Abbiamo in noi tutto il potenziale per affrancarci dal vizio del lamento, dobbiamo però prima rinunciare a ideali assurdi di onnipotenza, rimboccarci le maniche e fare con quello che c’è. Restando aperti ad imparare possiamo rendere le nostre vite ricche e piene, capire chi siamo e liberarci da schiavitù inebetenti.
Il discorso resta valido per le questioni complesse, problemi di salute o economici, forse ancora di più. Perché non esiste condizione che non possa, una volta integrata ed accettata, darci la possibilità di nascere una seconda volta, di svegliarci dal torpore e di farci vivere a pieno fino in fondo, con i mezzi che abbiamo e per il tempo che ci è dato.