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Rancore e perdono

Il rancore è uno dei malesseri psicologici più insidiosi e di difficile eradicazione.  

Esso può costituire l’anticamera della depressione per via dei sentimenti cronici di tormento e l’ideazione vendicativa di natura ossessiva (rimuginazione ossessiva)che potenzialmente può scatenare.

Il rancore si configura come un sentimento di odio rivolto verso una o più persone, che perlopiù non viene esternato con parole o fatti ma “covato” interiormente. 

Si tratta di una sorta di “veleno” psichico, perché ristagna nell’animo senza possibilità di essere espresso direttamente alla persona che ne è la causa e l’oggetto.

La pertinacia di questo sentimento si deve alla sua fondatezza: in genere chi lo prova ha realmente subito dei torti pesanti, delle ingiustizie o delle vere e proprie violenze da parte di qualcuno che non opera alcun movimento di riparazione o tentativo di riconciliazione dopo il male inferto.

L’impermeabilità dell’altro, la sua freddezza e disattenzione contribuiscono alla crescita dell’ostilità nel cuore di chi si sente vittima. Il ripetersi dei comportamenti di abuso spegne ogni speranza di comunicazione e innesca il processo malsano per cui i sentimenti d’odio vengono trattenuti  interiormente (con conseguente effetto di proliferazione).

Causalità del rancore

Di solito le basi del rancore sperimentato in età adulta si strutturano nell’infanzia. Dietro ad una persona che prova rancore c’è sempre un bambino “mal amato”, che non ha potuto o è andato incontro a un fallimento nel tentativo di comunicare le sue emozioni all’adulto reo di condotte aggressive (violenza psicologica o fisica).

Le persone inclini al rancore hanno alle spalle dei vissuti dolorosi in famiglia, luogo in cui la possibilità di parlare e confrontarsi reciprocamente sui sentimenti era del tutto bandita.

Alla lunga in queste persone anche piccole mancanze dell’altro possono innescare la reazione rancorosa, pure se esiste una evidente sproporzione fra la portata del fatto scatenante e la risposta negativa.

Al rancoroso nelle relazioni basta pochissimo, una leggerezza, una dimenticanza, un tono brusco. Essi sono sufficienti per chiudersi  a riccio e riattivare l’antico schema di disinvestimento emotivo e di ritiro dell’affetto, esteriormente camuffato da modi corretti e apparentemente neutri.

L’educazione autoritaria, soprattutto quando “disorganizzata” (costituita cioè da incoerente alternanza di divieti e permissivismo) ingenera questo tipo di dinamica.

Dietro al comportamento ubbidiente e conciliante di facciata del bambino si cela una forte carica aggressiva inespressa, piena di risentimento verso il genitore autoritario che non ammette critiche o semplici contraddittori.

Fantasie e propositi di vendetta

La rimuginazione astiosa nel tempo può arrivare fino all’elaborazione di fantasie di morte. Ciò non costituisce di per sé un elemento preoccupante, a meno che non si associ alla volontà di passare all’atto.

Il passaggio dalla fantasia all’azione infatti non è scontato e implica un qualcosa in più, una degenerazione nella psicopatia.

La vendetta ha qui la sua genesi. Se essa si limita a fantasie ha un carattere di pericolosità solo per chi la prova, perché ne intossica la mente e inibisce la possibilità di provare gioia e piacere.

Ma se la vendetta viene agita, anche in forme non cruente, essa diventa segno di un malessere che sta andando oltre i limiti e che potenzialmente può avere delle conseguenze molto pericolose.

Quando il rancore sfocia nella vendicatività può accadere di tutto (e nulla di buono).

La follia della vendetta sta nell’illusione di poter trovare pace e riscatto nell’atto che va a ledere l’altro.

La pace invece non può arrivare attraverso il reale perché il danno è già stato fatto; la violenza ai danni del carnefice non può azzerare le azioni che egli  ha commesso in precedenza, quelle restano, unitamente agli effetti provocati negli altri.

Imparare a lasciare andare il negativo 

Come uscire allora dal vortice auto distruttivo e potenzialmente rovinoso pure verso l’altro?

Come interrompere il circolo vizioso del male che produce male in se stessi e nel prossimo?

Innanzitutto bisogna che il rancoroso non abbia paura di riconoscersi come tale e sia predisposto a guardarsi dentro.

La psicoterapia psicodinamica può fare molto in tal senso perché aiuta ad aumentare il grado di introspezione per gradi e all’interno di un ambiente protetto (grazie alla guida di un esperto).

Il primo, difficile passo è capire che il rancore altro non è che il bisogno frustrato di essere amati, diventato tossico. Il problema non è eventualmente  l’altro ma il vissuto che noi ci portiamo dentro.

Riallacciarsi alla ferita originaria aiuta così a mettere ordine.

Nella vita di relazione adulta può capitare di rivivere modalità relazionali simili a quelle disfunzionali sperimentate in famiglia. Anzi, spesso esse sono perfino accettate e considerate “normali” perché avvertite come familiari.

Bisogna quindi imparare a distinguere quando il sentimento del rancore è giustificato all’interno di una dinamica tossica e quando non ha nessun fondamento all’interno di un rapporto sano (che ha le sue mancanze e le sue frustrazioni come in ogni relazione umana).

Rispetto alla prima situazione, quella tossica, si può finalmente vedere la ripetizione e prendere le dovute distanze, ovvero lasciare andare.

Nel secondo caso, quando non vale la pena lasciare andare perché il rapporto sostanzialmente è sano o presenta degli aspetti importanti di positività, c’è da vedere tutta l’inattualità dell’atteggiamento rancoroso. Valeva una volta, oggi non serve più!

Infine, per i più desiderosi di stare bene, vale il principio del perdono.

Bisognerebbe applicarsi con costanza per perdonare tutti, colpevoli e non colpevoli, tossici e meno tossici,  iniziando proprio  dai propri genitori disfunzionali.

Perdonare non è certo dimenticare,  ma lasciare che il passato sia passato, volere fermamente il bene e la positività nella propria vita presente e futura.

Infondo tutti noi sbagliamo, solo Dio può giudicare l’entità dei peccati.

Se siamo qui, se siamo sopravvissuti, forse anche il negativo che ci è accaduto ha un senso e una ragione.

Guardarsi indietro con astio e rancore ci fa sfuggire il presente e le sue possibilità.

Alziamo lo sguardo verso quello che ancora può succedere ed è in nostro potere che accada. 

Il passato, una volta capito, può restare dov’è, nella sua inesistenza e inattualità, e tutti i volti che lo hanno abitato possono sfumare benevolmente.

Aiuto psicoterapeutico