Dagli errori si impara...
Questa contraddizione però se andiamo a ben vedere è solo apparente. Non drammatizzare l’errore, non vederlo come una catastrofe, non precipitarsi a correggere un soggetto allo sbando con consigli e incitazioni non significa assolutamente incentivarne condotte sconsiderate né tanto meno sgravarlo dalla responsabilità dei suoi atti.
Una differenza importante che spesso viene sottovalutata o misconosciuta è infatti quella fra colpa e responsabilità. La colpa tendenzialmente assume una valenza negativa, nella misura in cui rimanda all’idea dell’espiazione di un peccato, ad una sorta di macchia indelebile che porta con sé sentimenti di autosvalutazione e di rovina. Vista così dunque l’auto colpevolizzazione non appare certo come qualcosa che può portare verso il nuovo o il cambiamento. Tutto sembra tranne che un principio propulsivo verso la realizzazione di sé. Assume piuttosto la forma di un peso che trascina verso il basso, e dunque magari per liberarsene lo si scarica volentieri sull’altro, considerandolo alla fine impropriamente l’origine di tutti i mali che affliggono.
Diverso invece è il discorso per la responsabilità. Questa si pone infatti in tutta un’altra logica. Non mira tanto a squalificare il soggetto, a mortificarlo, ad annientarlo con l’ombra dell’errore commesso, con il macigno delle conseguenze nefaste che ne conseguiranno. Al contrario induce a rivolgersi delle domande interessanti su se stessi, che se ben poste, portano ad una evoluzione personale ed infine ad un incremento dell’armonia percepita fra sè e il mondo.
Perché sono caduto così rovinosamente quando avevo davanti agli occhi tutte le avvisaglie di un possibile errore? Perché ho sottovalutato certi segnali? Perché non ho considerato attentamente la situazione? Perché ho voluto vedere ciò che desideravo piuttosto che la realtà nuda e cruda? Questi sono solo alcuni degli interrogativi possibili che possiamo formulare a seguito di uno sbaglio, a volte clamoroso anche ai nostri stessi occhi. Così facendo scopriremo che esiste una dimensione inconscia dentro di noi, che non sempre (o forse quasi mai) agisce all’unisono con il nostro Io e che ci fa fare cose che non vorremmo affatto, talvolta sabotando i nostri intenti coscienti. Naturalmente è interessante capire che cosa ci vuol dire effettivamente l'inconscio in questa manieria. Dargli ascolto, credito ripaga in termini di conoscenza dei nostri desideri più profondi.
L’analisi ci conduce allora verso un gioco sorprendente e alla lunga anche divertente: provare a ritenersi responsabili ( e non colpevoli) del nostro inconscio. Compito apparentemente paradossale, dato che su tale dimensione non abbiamo per definizione controllo. Dobbiamo però nuovamente stare attenti. A non confondere la responsabilità con la padronanza, con il controllo. E’ chiaro che sull’inconscio non abbiamo direttamente un’influenza ma ce ne possiamo comunque ritenere responsabili nella misura in cui è qualcosa che fa parte di noi e che influisce pesantemente sul modo in cui ci comportiamo. In una parola possiamo decidere di assumerci il nostro inconscio, farcene qualcosa, permettergli di parlare, ascoltarlo, dargli cittadinanza. Piuttosto che precipitarci a imbavagliarlo sotterrandoci sotto cumuli di inconcludente auto denigrazione e sterile lamento.