Disturbo borderline: il riposo impossibile
Antonello Correale, nel suo "Area traumatica e campo istituzionale", sostiene una tesi largamente condivisa dai clinici: il disturbo borderline si associerebbe invariabilmente ad un trauma indotto da un oggetto genitoriale percepito come frustrante, indisponibile e umiliante.
Tale deficit di presenza rassicurante impedirebbe lo sviluppo di quello che Correale chiama "riposo", inteso non semplicemente come cessazione dello sforzo, ma come disposizione mentale a creare nuove connessioni di pensiero, punti di vista allargati, riflessioni ad ampio spettro.
Si tratta di una capacità propria di tutti gli esseri umani. Essa si connette al concetto freudiano di “attenzione liberamente fluttuante”: la mente è libera di spaziare, di ricercare, di inventare, di connettere elementi sparsi e ricondurli a qualcosa di nuovo, a dei nuclei di verità.
Al contrario una presenza genitoriale instabile, rumorosa, confusiva provoca un corto circuito in tale possibilità di "riposo", gettando nella disperazione piatta e desolante, la cui unica via di uscita sembra essere il passaggio all'atto. L'agire impulsivamente, la rabbia sono tentativi di mettere fine al tumulto interiore, che però finiscono per accrescerlo per via delle conseguenze negative degli agiti. Il caos, l'agitazione irrequieta vengono così rinforzate anziché alleviate.
Il trauma del passato
La rappresentazione interiorizzata del genitore del borderline è traumatizzante nella misura in cui fa mancare sistematicamente un senso di sicurezza e di gioia per la vita del figlio. Questo non perché sia intrinsecamente cattivo, ma perché è a sua volta vittima di vicende di vita drammatiche. Ne deriva che il bambino futuro borderline vive l'esperienza traumatica di sentirsi come un oggetto sballottato sulle onde, qualcosa di sradicato, di inutile, senza appoggi e senza prospettive: prevale un vissuto catastrofico di perdita totale e irreparabile.
Secondo Correale, se nello scompenso psicotico osserviamo una rottura con la realtà e lo sprofondamento in un mondo solitario e inafferrabile a cui segue la creazione di una neo realtà (delirio), nel borderline le cose vanno diversamente. Non c'è entrata in un mondo parallelo, egli resta solo con il suo terrore, senza nemmeno la consolazione di diventare psicotico. Può vivere delle esperienze dissociative (stati alterati di coscienza, disturbi dell'attenzione, restringimento della memoria e disturbi percettivi) ma non giunge mai in un mondo parallelo, al massimo mette in scena un personaggio teatrale, tormentato e tormentante.
La crisi nel presente
Nel momento della crisi il borderline rivive, in relazione a nuovi partner (anche quelli amorevoli), l'esperienza traumatica frustrante. Dietro le facce consuete compaiono di colpo sembianze odiose e indifferenti. Irrompe allora improvvisamente una disperazione dolente, una rabbia violenta, finalizzata in maniera distorta a ristabilire il legame.
L'urlo, l'imprecazione o l'aggressione puntano in realtà a suscitare convulsamente l'interesse e la cura da parte dell'altro, ma finiscono ovviamente per allontanarlo. Queste dinamiche sono repentine e imprevedibili, perché tutto si gioca nella testa del borderline. Il partner o semplicemente l'interlocutore può dire o fare qualcosa senza nessuna intenzione abbandonica o svalutante, ed essere però interpretato a partire dalla rappresentazione traumatica interiorizzata. Spesso rimane con la sensazione di aver fatto un danno, senza capire perché e di quale danno si tratti.
La ferita del passato spinge il borderline ad una sorta di iper vigilanza, che lo rende sensibilissimo e attentissimo a ciò che l'altro è o fa. Lo tiene sotto una costante lente di ingrandimento, senza potersi mai fidare definitivamente. La sua ricerca di presenze vive, non ipocrite e di prove di vero interesse nei propri confronti, non si arresta mai, non sfocia mai in fiducia tranquilla e incrollabile. Il partner viene così sfibrato dai continui attacchi del compagno, che da vittima si trasforma così in persecutore..
La terapia
La sensibilità esasperata di questi pazienti li rende acutissimi nel cogliere se il curante capisce davvero l'intensità del loro disagio o se mostra soltanto un generico senso di disponibilità umana. La loro ricerca di persone "vere", davvero interessate, li porta a sottoporre chi hanno di fronte a continui test. Non solo, nella relazione terapeutica rivivranno proprio le dinamiche legate all'altro traumatico.
La sfida di un approccio terapeutico sarà allora quella di aiutare il borderline a sviluppare la capacità alterata di "riposo" della mente, per contrastare impulsività e distruttività. È importante innescare un "gioco" di pensieri attivo e orientato, ricco di aspetti metaforici, proponendo idee, ampliamenti, spiegazioni e chiarimenti.
Il terapeuta è chiamato a esserci, instancabilmente. Secondo Correale la sua forza il curante la attinge da un "nucleo di solitudine creativa e dolente" che in lui è circoscritto, mentre nel paziente si sviluppa in maniera tumultuosa e totalizzante, inibendo ogni sviluppo fecondo.
Una notazione importante riguarda la rabbia. Ad essa è bene non reagire specularmente certo, però il terapeuta che viene attaccato non deve nemmeno comportarsi come se non ne fosse toccato minimamente. In entrambi i casi, reagendo o facendo finta di nulla, riprodurrebbe la freddezza e inaccessibilità dell'altro traumatico. Può dunque sì mostrare stanchezza, ma a partire dalla consapevolezza dell’appello disperato insito nella rabbia.