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I nuovi vizi

I "nuovi" vizi, ci spiega Umberto Galimberti nel suo "I vizi capitali e i nuovi vizi" sono "cattive abitudini" emergenti, che si differenziano dai così detti vizi "capitali" per tre ragioni. Innanzitutto essi sono strettamente legati alla modernità : una volta o non esistevano o non erano di dimensioni tali da costituire un tratto evidente del nostro modo di vivere

Non si configurano perciò come passioni "universali", indipendenti dalla storia ma si ancorano saldamente al tempo presente. Secondariamente i vizi tipici della contemporaneità non segnalano, come i vizi capitali, una "deviazione" morale o una "caratteristica" della personalità, bensì il suo progressivo dissolvimento: il soggetto, senza neppure accorgersene, in essi perde spessore e consistenza.

Si tratta allora in terzo luogo di "tendenze collettive" anziché individuali, a cui la singolarità non riesce ad opporre un'efficace resistenza individuale, pena l'esclusione sociale. 

Perché dunque parlarne? Galimberti, conscio dell'inaggirabilità dell'impatto sulla vita di ciascuno di noi, svela la sua fede nella possibilità di consapevolezza critica, che può, se non neutralizzare, almeno limitare l'incidenza livellatrice di certe tendenze omologanti. Egli individua sostanzialmente sette nuovi vizi: consumismo, conformismo, spudoratezza, sessomania, sociopatia, diniego e vuoto. 

Vediamoli brevemente.

Consumismo 

Se da sempre le cose si consumano e diventano inutilizzabili, nel ciclo produzione - consumo in cui siamo immersi  esse sono a priori pensate in vista di una loro rapida inutilizzabilità e dunque di una loro veloce sostituzione. La precarietà del mondo e delle sue rappresentazioni viene così esasperata, con inevitabili ricadute sulla psiche degli esseri umani. 

Priva di un contesto sufficientemente durevole e rassicurante, l'identità diventa anch'essa  incerta e problematica. L'evanescenza dell'oggetto colpisce tutto: nulla è più stabile. Le identità possono essere indossate e scartate come abiti passati di moda. Le relazioni diventano "usa e getta", i lavori si trasformano in occupazioni a tempo determinato. La stessa interiorità si trasforma in merce da esibire, da pubblicizzare. Come l'apparenza splendente dell'oggetto ne occulta la fragile sostanza, così l'immagine dell'individuo ne inghiotte e adombra ogni spessore. La rappresentazione di sè esibita  tramite le vetrine dei socia network appare così una delle nuove forme in cui si declina tale svuotamento identitario. 

Conformismo

La nostra epoca chiede l'omologazione di tutti gli uomini come condizione della loro esistenza. Nella nostra società le azioni sono sostituite da azioni omologate, cioè non frutto della coscienza critica di chi le mette in atto ma della pura conformità ad una norma. In quasi tutti gli ambienti, di lavoro e non, viene premiata la coscienziosità nel fare le cose piuttosto che la coscienza alla base dell'agire. La cultura della conformità viene assorbita fin da ragazzini: già a scuola o in famiglia si insegna che il successo si consegue più facilmente se ci si adatta, rinunciando alla realizzazione autentica di sé.

Non è dunque possibile, o lo è solo ad un caro prezzo, vivere nella nostra epoca se non con condotte massificate, cioè omologate al sistema che ci tiene in vita. Molte psicologie  come il cognitivismo e il comportamentismo sono diventate egemoni proprio perché si profilano come tecniche di adattamento, il cui invito implicito è essere sempre meno se stessi e sempre più congruenti all'apparato. L'autenticità dell'essere se stessi viene vista come qualcosa di patologico, in un impressionante ribaltamento dei valori. L'ideale di salute è collocato in quell'essere conformi che, da un punto di vista esistenziale, è invece il tratto tipico della malattia.

Spudoratezza

Dal conformismo e consumismo deriva la spudoratezza, riferita non strettamente all'esibizione sessuale, quanto al crollo di quelle pareti che distinguono l'interiorita dall'esteriorità, il privato e l'intimo dalla sua esposizione e pubblicizzazione. Il nostro tempo vuole la pubblicizzazione del privato: come le merci per essere prese in considerazione vanno pubblicizzate, così gli uomini hanno la sensazione di esistere solo se si mettono in mostra. Per esserci bisogna apparire: si finisce così  per sostituire l'individualità mancata con la pubblicità dell'immagine. 

Sessomania

Nel proliferare incontrollato di immagini sessuali, sulle strade, sugli schermi, sulla carta stampata, la sessualità vera è tagliata fuori. Essa è estinta in ciò che ha di potenzialmente sovversivo e creativo. Nel sesso infatti parla l'altra parte di noi, quella follia notturna che l'Io diurno tiene a bada per garantire la vita di ogni giorno. Dunque la sessualità  esibita, messa spudoratamente in scena,  non aggancia tale dimensione inconscia, profonda ed enigmatica  ma resta in linea con le regole diurne dell'Io: professionismo, produttivismo, ripetizione.  

L'effetto della donna nuda sul cartellone è raggelante e “spranga” la femminilità in tutto ciò che è autenticamente seducente, vivo e invitante: si tratta di un'esposizione di un oggetto di consumo, inerte, morto. Al posto della sessualità compare una parodia della sessualità stessa, controllata dai produttori della sessualità. Il desiderio si estingue e con esso il suo potere sovversivo. Che sia qui, nell'elisione della sessualità vera e propria la funzione sociale dell'odierna overdose di sessualità?   

Sociopatia

Sociopatia è sinonimo di immaturità affettiva, incapacità di simpatia e gratitudine, vita sessuale impersonale, apatia morale, falsità e insincerità, tendenza ad agire con gesti improvvisi di violenza. Molte storie di cronaca ma anche di vita di tutti i giorni sono riconducibili ai tratti della sociopatia, che deve la sua costituzione ad una mancata integrazione dell'affettività dei primi anni di vita. 

Che ruolo gioca la società in cui viviamo nel dilagare di questo modo di vivere improntato al seguire solo i propri pensieri, la propria strada, il proprio dolore? Secondo Galimberti alla base c'è un'educazione emotiva che oggi più che mai viene  lasciata al caso. La comunicazione emotiva va incontro ad una desertificazione in famiglia, nella scuola e nella società più allargata per via dell'individualismo esasperato che pervade la socialità  a tutti i livelli. È ancora la ricerca del profitto, dell'apparire, del successo a lasciare tutti più soli e ad identificare paranoicamente nel simile il nemico e la minaccia anziché l'amico verso cui nutrire empatia e solidarietà. 

Diniego

Il diniego è il vizio di negare l'esistenza di ciò che esiste e che per giunta si conosce. I mezzi di informazione oggi l'hanno reso esponenziale. Così che atteggiamento assumiamo di fronte alle immagini televisive che ci fanno ad esempio vedere profughi in fuga dai loro paesi? Spesso decidiamo consciamente di evitare queste informazioni così che ci ritroviamo a falsificare il nostro apparato cognitivo, emozionale e di azione: diventiamo in tal modo sempre indifferenti, freddi, apatici. Come diventare responsabili di ciò che sappiamo anche se le realtà con cui veniamo in contatto sembrano lontane a noi? Come tornare sensibili alla fraternità?

Vuoto

Per vuoto si intende il nichilismo giovanile, inteso come speranza delusa circa la possibilità di reperire un senso nella vita. Tre sono le forme che può assumere nella nostra società. 

Da una parte osserviamo una dilagante freddezza razionale: il giovane non sa come mettere in contatto il cuore con la mente e la mente con il comportamento. Il cuore si ritrova cioè a non essere in sintonia con il pensiero e il pensiero con l'azione. Una volta forse le emozioni erano tumultuose ma poi, in assenza di un'attenzione emotiva, era scattato il meccanismo di difesa  preventiva. Meglio giocare in anticipo delusione e cinismo per non incontrare risposte d'amore che non arriveranno mai.

C'è poi l'ottimismo egocentrico: si tratta di indifferenza emotiva che si coniuga a fatalismo (sono fatto così!). Ne scaturiscono irresponsabilità, nessun rispetto degli impegni né timore delle conseguenze delle proprie azioni, mosse unicamente dalla noia o dall'eccitazione.

Infine l'inerzia conformista, forse la più diffusa, caratterizzata da una rassegnazione contenuta che sfocia in basso livello di auto considerazione, mancanza di progettualità e sensibilità indolente.

“In questo modo tra i quindici e i venticinque anni, quando massima è la forza biologica, emotiva ed intellettuale, molti giovani vivono parcheggiati in quella terra di nessuno dove la famiglia non svolge più alcuna funzione e la società alcun richiamo, dove il tempo è vuoto, l'identità non trova alcun riscontro, il senso di sè si smarrisce, l'autostima deperisce. Ma che ne è di una società che fa a meno dei suoi giovani?”

Disagio contemporaneo