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Psicoanalisi: quando una navigazione senza bussola apre mondi

I"Pensieri di uno psicoanalista irriverente. Guida per analisti e pazienti curiosi" di Antonino Ferro è un testo prezioso nella sua apparente semplicità, in grado di far cogliere ad addetti ai lavori e non qual è la vera posta in gioco in una psicoanalisi, al di là di tecnicismi, diversità di approcci e rigidi riferimenti ai così detti "testi sacri". 

La psicoanalisi, aprendo finestre interiori  rimaste a lungo chiuse, conduce verso il non conosciuto, ciò che non sappiamo di noi stessi, ciò che nella nostra vita non esiste ancora. E tale contatto ci trasforma profondamente, ci cura e guarisce dalle nevrosi. 

Se è dunque l'inconscio il vero motore dell'analisi, se è ciò che non si sa a muovere tutto il lavoro, Ferro invita gli psicoanalisti a non arroccarsi su posizioni di già saputo, a mantenere la mente in uno stato di curiosità e di ricerca viva. È l'alleanza del terapeuta con l'inconscio a muovere quello del paziente, a far sì che si appassioni e prenda gusto nel viaggio.     

Difesa dal sapere e apertura di mondi 

Ciò che sappiamo, dice Ferro, produce un "inquinamento luminoso", ci impedisce di vedere le aree sconosciute della vita psichica di quel paziente lì, unico e particolare, eccezione rispetto a qual si voglia teoria. L'ortodossia occlude la vista, acceca, impedisce di vedere gli scalini ancora da salire per accedere a parti sconosciute di un palazzo che intendiamo esplorare. Se i passi già fatti ci permettono di stare al punto in cui siamo, e dunque sono imprescindibili in termini di formazione, fermarsi pensando di aver visto già tutto sarebbe segno di arroccamento difensivo.

L'aiuto specifico che un analista può dare a chi si rivolge a lui risiede dunque in questo suo assetto mentale impregnato di curiosità. Non c'è psicoanalisi senza valorizzazione dell'inconscio, sia che lo si ritenga (secondo la visione freudiana classica) come un mondo da esplorare, sia che lo si pensi più modernamente come una struttura in perenne formazione, in trasformazione e in  sviluppo. 

Analista e paziente in quest'ottica diventano dei veri e propri creatori di inconscio funzionante, funzionano mentalmente insieme, al pari di navigatori senza bussola, guidati e sostenuti dallo spirito di ricerca più che dalle certezze già acquisite. 

Non a caso in uno dei suoi seminari Bion dice che al paziente bisognerebbe dare in ogni seduta un buon motivo per tornare in quella successiva. Il paziente deve attivarsi, appassionarsi, prendere gusto a ciò che si fa nella stanza d'analisi. Se l'analista non può fare il lavoro al posto del suo paziente, il cui coinvolgimento è indispensabile, è vero che è la sua posizione nei riguardi dell'inconscio a favorire l'innesco del processo virtuoso nell'altro. 

Il piacere dell'analisi sta nel riuscire a trasformare stati mentali disorientati, disorganizzati, frammentati in un racconto, in narrazione, in pensabilità. L'analisi, pur con le sue inevitabili impasse, blocchi e transfert negativi, dovrebbe essere nel complesso una cosa bella, qualcosa che piace e per cui si è disposti a impegnare energie, tempo e soldi. 

Trasformazioni 

I pazienti, quando arrivano in seduta, sentono il bisogno di essere accolti. Ciò che conta è quanto si sentono ascoltati e capiti. 

La mente dell'analista allora, oltre che mantenersi aperta, viva e ricettiva verso la dimensione inconscia, deve pure lasciarsi realmente penetrare dalle angosce e dalle emozioni del paziente, al pari di una portaerei sulla quale la turbolenza della vita emotiva possa atterrare. 

Si tratta del noto processo bioniano di trasformazione dei così detti elementi beta (caoticità sensoriale, sofferenza, disperazione)  in elementi alfa (immagini, narrazioni, pensieri) che avviene grazie alla recettività dell'analista, in grado di dare il via ad un vero e proprio processo digestivo. È tramite questi meccanismi che si contribuisce alla costruzione del pensiero, dell'emozione e infondo dell'inconscio stesso. 

L'analisi non può esimersi dall'occuparsi degli aspetti profondamente sofferenti e violenti della vita psichica. Ma proprio tramite le micro evacuazioni reciproche  fra paziente e analista la turbolenza lascia spazio alla forma, alla pensabilità. Il paziente impara nel tempo a svolgere tale lavoro in autonomia, senza più il contenitore del terapeuta. 

Il fine del lavoro analitico allora non è secondo Ferro acquisire nozioni su di noi, secondo il modello classico dell'"insight". Esso è in realtà l'effetto secondario di ben altro, ovvero della trasformazione a cui va incontro il paziente ogniqualvolta sperimenta nella vita una maggiore pensabilità di ciò che gli si muove dentro. Durante e al termine dell'analisi egli si ritrova ad acquisire e fare propri strumenti che gli permettono di funzionare mentalmente meglio, sia  durante un bombardamento di stati "proto emotivi" una volta sopraffacenti, sia di fronte all'assurdità di comportamenti sintomatici  ormai superflui.

Aiuto psicoterapeutico