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Il colore nascosto delle cose

Nel Colore nascosto delle cose, film di Silvio Soldini presentato a Cannes nel settembre 2017, il personaggio di Emma (osteopata non vedente) dà corpo e voce ad una verità semplice e sconvolgente al tempo stesso: "per guarire bisogna soffrire". 

La frase, appena sussurrata, svela tuttavia con decisione il messaggio nascosto del film. La guarigione, di qualsiasi genere essa sia, non avviene nonostante il dolore, ma proprio grazie ad esso. Non è il dolore che fa ammalare, piuttosto il tentativo di schivarlo. Emma, portando tutto intero il fardello della sua cecità, paradossalmente se ne libera, guarisce dal vero dramma, il rifiuto di se stessi, di ciò che si è stati e di ciò che si è.

La storia 

Teo è un uomo sulla quarantina, risolto sul piano professionale ma profondamente in crisi su quello emotivo. Vive solo, da tempo ha una fidanzata ufficiale con la quale non convive e che tradisce sistematicamente con un'altra. La sua fuga dal legame ha origini antiche: abbandonato dal padre naturale cresce in balia di un patrigno autoritario, che non lo capisce. Ancora ragazzo se ne va via di casa, molla gli studi e si fa strada nel mondo grazie a senso pratico e vena creativa. Con la famiglia gli incontri sono sporadici, lo protegge un muro di distanza psichica e fisica. Tanto che, appresa la morte del patrigno, non va neppure al funerale.

Un giorno partecipa con amici ad un'iniziativa di sensibilizzazione al mondo della cecità. In una stanza, completamente al buio, c'è Emma a fare da guida ai vedenti. È la sua voce calda, sensuale e infinitamente pacata a colpirlo. Ha inizio così una frequentazione che si traduce in puro piacere della compagnia reciproca. Teo é incuriosito, affascinato, impaurito dal mix di forza e fragilità che si sprigiona dalla figura di Emma. In ogni caso si ritrova stranamente coinvolto sul piano emotivo. Lui, a cui piace fare domande ma non parlare di sè, si confida, si apre. 

Scoperto dalla fidanzata, dopo un'esplosione di passione con Emma, si riappropria delle usuali difese per tenere a distanza l'altro: menzogne, scuse vigliacche, sparizioni. La  reazione di chiusura ostinata della donna lo inchioda a fare i conti con se stesso e con le questioni esistenziali rimaste irrisolte. Si decide, dopo anni, a far vista alla madre vedova. Nelle sue braccia finalmente piange, il dolore di bambino rimasto incapsulato esce, diventa reale.  La mancanza così riaperta sancisce l'impossibilità di tornare indietro e prelude ad un nuovo, possibile incontro al buio con Emma.

Il colore nascosto

Dall'incontro con la cecità dell'Altro, con l'opacità dello sguardo dell'Altro sulle cose di superficie,  Teo può entrare in contatto con il vero sè, con il dolore negato, con il colore nascosto delle cose. L'autenticità di Emma, il suo porsi al di là di ogni gioco immaginario di seduzione (e dunque di illusione), la sua semplice e complicata esistenza sono frutto della piena presa di responsabilità su qualcosa di cui non è responsabile: la malattia, il dolore, il torto subito.

La psicoanalisi lo ripete all'infinito questo concetto, la vicenda trattata nel film ha il pregio di restituirgli concretezza e vividezza. Finché chi si lamenta per gli eventi sfortunati della vita non si prende letteralmente sulle spalle la responsabilità di affrontare il proprio star male, non lo assume come un dato di fatto irreversibile, incancellabile da cui non è possibile prescindere, si condanna al lamento eterno, alla rabbia senza perdono, alla paralisi totalizzante. 

Emma è dunque una sorta di "terapeuta" in questa vicenda, non si limita alla sola osteopatia. Il suo essere terapeutica la avvicina molto alla figura dello psicoanalista così come lo  intende la psicoanalisi lacaniana, anche lui senza lo sguardo che si perde nella superficie immaginaria e nell'immedesimazione compassionevole. 

 Il suo modo di fare e di essere è amorevole ma non giustifica, non avvalla la codardia. Dettaglio non trascurabile é il suo impegno nel seguire una ragazzina ipovedente alle prese, agli albori della vita, con i colpi della malattia. Nel momento in cui la ragazza, presa dalla disperazione nichilistica, la accusa di essere un'illusa e una perdente, interviene duramente: è tutto nelle sue mani, vivere o morire, a lei la scelta.  

Stessa reazione quando Teo la umilia rinnegando la loro amicizia; semplicemente sparisce, non per sadismo o indifferenza, ma per far sentire all'altro quanto tutta l'irresoluzione dipenda solo da lui. Nessuno può essere salvato se non scatta qualcosa nel suo intimo.

Il film può essere letto allora come una grande metafora della cura: la cura che può essere dispensata solo da qualcuno che è stato malato ed è guarito, la cura che non può prescindere dall'Altro e dall'incontro con una testimonianza umana, la cura che, infine, pur non potendo fare a meno  dell'alterità, implica tuttavia  un passo autonomo nella solitudine più radicale.

Rapporto uomo donna, Aiuto psicoterapeutico , Psicoanalisi lacaniana