Domanda d’amore e desiderio: un intreccio difficile
Amore (inteso come voler bene incondizionatamente) e desiderio, come è noto, non sempre vanno a braccetto. Si può amare qualcuno senza desiderarlo così come lo si può desiderare senza amarlo.
Entrambe le situazioni producono insoddisfazione e sofferenza, nella misura in cui oscuramente sentiamo che la pienezza stia nell’intreccio di amore e desiderio. La loro convergenza dà luogo ad un amore diverso, che non si esaurisce nell’affetto altruistico o nella pura brama sessuale. Pur includendoli, essa apre alla dimensione dell’estasi e del mistero.
Perché tale esperienza è così miracolosa e così rara, tanto che si può passare una vita intera senza viverla o nemmeno poterla immaginare?
Potremmo dire che ci sono in gioco almeno due fattori. Il primo è dato dalla casualità dell’incontro, dalla fortuna, dal destino, da qualcosa che (apparentemente) non dipende da noi.
Il secondo ha invece a che fare con la nostra disponibilità ad accogliere l’incontro, a renderlo possibile o impossibile.
Ed è a questo secondo livello che agiscono i meccanismi propriamente nevrotici indagati dalla psicoanalisi fin dalla sua nascita. La nevrosi come baluardo nei confronti della sessualità e più precisamente del desiderio inconscio.
Domanda d’amore e desiderio
Jacques Lacan ci spiega come domanda d’amore e desiderio frequentino due territori diversi. Se l’amore infatti tiene conto della soggettività della persona, riconoscendola, dandole valore e unicità, il desiderio in purezza invece riduce l’altro a livello di oggetto. Non solo, se nell’amore vale la reciprocità, ovvero la parola di approvazione dell’altro conta, il desiderio è “condizione assoluta”, ovvero non si preoccupa minimamente del volere dell’altro, è anarchico, non può essere suscitato nè spento a comando.
Il fatto dunque che il desiderio (non solo quello sessuale ma anche quello verso tutte le attività che implicano una quota di sublimazione) pur venendo originariamente reperito nel luogo dell’Altro tolga poi di mezzo l’Altro mette in difficoltà gli esseri umani.
Le nevrosi diciamo più “classiche” si articolano attorno a questo rifiuto verso la potenza oggettificante e spersonalizzante del desiderio inconscio, che si fa beffe del controllo e di tutti i buoni valori e sentimenti umani. Per questo nelle relazioni d’amore essa finisce per essere svilita, non riconosciuta, tagliata fuori. Venendo così ad essere escluse dalla vita dimensioni importanti, vive, pulsionali, in favore di toni più sfumati, tiepidi, rassicuranti e gestibili dall’Io (che implicano però l’avvento di una sintomaticità più o meno marcata).
L’impasse nei due sessi
Sul versante femminile la nevrosi anteporrà la domanda d’amore al desiderio, nel tentativo di schivare la minaccia di degradazione dell’essere femminile a puro oggetto di consumo da parte dell’uomo. Il desiderio viene in tal modo ammansito, addomesticato, desessualizzato, deviato, idealizzato, vissuto per procura, in ogni caso ricondotto su binari non propri, quelli della reciprocità, dei buoni sentimenti, dell’amore inteso come affettività, cura e riconoscimento.
Il desiderio, così azzittito, torna a disturbare gli idilli, assumendo le forme dell’insoddisfazione continua e perenne, dell’immaginazione utopica di un altrove irraggiungibile, di un’irrequietezza senza riposo. Una mancanza divorante appare sullo sfondo di rapporti apparentemente “perfetti”, che ad un certo punto può slatentizzarsi e portare ad atti che, se non elaborati nel loro senso più profondo, vengono ripetuti ciecamente senza che nulla cambi nella posizione difensiva tenuta in rapporto al desiderio.
Per quanto riguarda l’uomo il problema non sta tanto nell’oggettificazione dell’altro, cosa insita nella sua sessualità, ma nel fatto che la condizione assoluta del suo desiderio inevitabilmente lo confronta con il disubbidire all’Altro. L’uomo che sviluppa una nevrosi ossessiva ha bisogno dell’approvazione, del si dell’Altro al proprio desiderio. Quando questa non c’è, per i motivi più svariati, opta per la rinuncia a ciò che desidera davvero, pur di tenersi buono l’Altro, pur di vivere nella tranquillità.
Anche per lui però la pace sperata non si verifica. Sotto la pressione del desiderio soffocato, finisce per sviluppare un’aggressività incontrollabile proprio verso quell’Altro a cui ha ubbidito, nelle cui braccia rassicuranti si è rifugiato per vigliaccheria, per paura di rischiare. Tale aggressività, se elaborata, può portare a qualche cambiamento sostanziale, altrimenti come per la controparte femminile le sue ribellioni possono esaurirsi in ripetizioni all’interno dello stesso cerchio, che non si spezza mai in una ripetizione infinita (che costituisce proprio il cuore della sua nevrosi).
Nella nevrosi vediamo così agganciate in due movimenti difesa e crollo della difesa stessa, movimenti che tuttavia si susseguono dentro lo stesso recinto. Infatti il secondo atto, quello di ribellione, raramente si costituisce come squisitamente liberatorio ma resta sotto il giogo della logica che lo ha prodotto.
Spesso non bastano nemmeno lunghe psicoanalisi per disarticolare tali meccanismi, anche perché col cambiamento interferiscono pure molteplici tornaconti secondari a cui le persone non vogliono rinunciare. A volte però fortunatamente ci pensa la vita a riservare sorprese in grado di erodere più o meno lentamente i muri eretti contro di lei.