Psicoterapia: l’arte e la disciplina dell’ascolto
L’ascolto di uno psicoterapeuta di valore, al di là del suo approccio teorico di riferimento, lo potremmo paragonare all’esercizio di una vera e propria arte, sempre legata quest’ultima ad una miscela di aspetti formali e di spinta creativa, di tecnica e di sensibilità emotiva, di già saputo e di nuovo, di pensato e di non ancora conosciuto.
Il qui ed ora
Il silenzio con cui egli accoglie la parola del suo paziente (lasciandolo libero di parlare nel rispetto dei suoi tempi e delle sue modalità più peculiari d’espressione), la capacità d’attesa, la memoria inconscia, l’intervento nel momento giusto, la modalità non didattica e non pregiudiziale d’interpretazione, la carica umana, l’intuizione e la possibilità di immedesimazione senza confusione fra sé e l’altro, sono tutti elementi che si potrebbero paragonare al tocco di un pianista, al fluire della penna dello scrittore, al gesto del pittore.
Durante il suo lavoro infatti un terapeuta sprofonda in stati di concentrazione simili a quelli esperiti da un artista al lavoro, in cui il tempo sembra dissolversi, accellerare o rallentare, mentre gli atti compiuti si verificano nel momento esatto in cui dovrebbero accadere senza che vi siano calcolo o premeditazione. L’apparente spontaneità di questi fenomeni cela un lavoro “a monte” di studio, di ricerca, di riflessione che tuttavia durante l’attività è come dimenticato, per dissolversi nel qui ed ora dell’incontro col paziente, con lo strumento, con la pagina, con la tela.
Lo strumento umano
La peculiarità dell’arte terapeutica prevede uno strumento “umano” anziché inerte e passivo, i cui differenti gradi di partecipazione ne condizionano lo sviluppo e gli esiti. Più un paziente si dimostra collaborativo, attivo, aperto, curioso, anch’egli in un assetto di ricerca, più la concentrazione del terapeuta si fa profonda e il suo ascolto pieno.
Se invece prevalgono i silenzi o al contrario una parola fiume che inonda il tempo della seduta senza soffermarsi su nulla, sarà più difficile attivare la funzione dell’ascolto nel senso appena descritto. Ma anche in queste congiunture si parla di arte terapeutica, nella misura in cui l’orecchio dell’analista resterà in attesa di rintracciare una crepa nel muro della parola che gli si erge davanti, per poi reagire o non reagire affatto, seguendo la via dell’intervento o di un’ulteriore attesa.
L’incontro con l’ignoto
Più un terapeuta si fa esperto più egli impara ad aspettare, a parlare solo al momento giusto. Il che non significa affatto ripararsi difensivamente dietro al silenzio, come a molti accade quando non sanno come cavarsela d’impiccio, o quando sono semplicemente stanchi. Esistono pazienti con cui è necessario parlare, argomentare ed altri con cui sarebbe sbagliato intrattenersi in conversazioni. Tutto questo senza irrigidimenti strategici, ma mantenendo una disponibilità verso l’ignoto che ogni incontro porta con sè.
La disponibilità a lasciarsi trasportare dal paziente per incontrarlo ogni volta come fosse la prima non va confusa con il non saper esercitare un’autorevolezza su di lui. Anzi, è proprio quando non ci si pone la questione della superiorità che diventa possibile lavorare insieme all’altro e non sull’altro. Non insistere, non voler esercitare potere, non cercare consenso, dimenticare il sapere e se stessi sono le principali acquisizioni di un terapeuta maturo, non solo e soltanto sul piano anagrafico.
L’incontro con l’altro mette sempre di fonte ad un imprevisto, a qualcosa che non si controlla e non si conosce a priori. L’Io si ridimensiona invariabilmente al contatto con ciò che sta fuori da lui, a maggior ragione quando si tratta di un essere umano dotato di intenzionalità. L’arte terapeutica sta nel non indietreggiare innanzi a quanto non si padroneggia ancora, nel fare a meno di mezzi di contenzione come il sapere o le tecniche o gli atteggiamenti precostituiti.
L’angoscia è inaggirabile ma può essere sopportata anziché imbrigliata, attraversata e trasformata in coraggio, in apertura verso l’ignoto. Se è il curante a non temere l’imprevedibilità del suo paziente, lui stesso imparerà ad avere meno paura di molte cose.
E cos’è il coraggio se non una qualità essenziale in qualsiasi processo creativo che possa dirsi davvero tale? Un avventurarsi in territori sconosciuti lasciando alle spalle ogni certezza?