Psicoanalisi e aspettative
Un buon lavoro di analisi ha sempre come effetto indiretto un certo ridimensionamento delle aspettative nei confronti degli altri. Esso non va inteso come sviluppo di un atteggiamento disincantato (e al fondo risentito) del tipo “non mi aspetto più niente da nessuno”. In quel caso avremmo una rinuncia alla possibilità di fidarsi del prossimo, cosa che non rientra certo negli scopi di un lavoro su se stessi.
Ridimensionare le attese
Ridimensionare le attese non va dunque letto come fuga cinica dal rapporto con l’altro ma come esito di una messa in discussione di sé e delle proprie modalità relazionali date scontatamente per “giuste”.
Chi é ingombrato dalle aspettative è tipicamente troppo concentrato su se stesso e sui propri schemi mentali, cosa che gli impedisce di vedere le situazioni e le persone per quello che sono e non per ciò che “dovrebbero” essere. La delusione è quindi sempre dietro l’angolo mentre l’atteggiamento vittimistico la fa da padrone.
Ne consegue una più o meno totale cecità verso se stessi e il proprio ruolo nel mantenimento della situazione patita. La percezione della “legittimità” delle proprie attese non permette di uscire da se stessi per guardare criticamente sia l’altro che soprattutto i propri errori o i propri limiti personali.
Situazioni tipiche
Una situazione esemplificativa abbastanza tipica riguarda l’innamorato che, alle prese con un oggetto d’amore più o meno sfuggente, si ostina ad aspettarsi attenzioni che regolarmente non arrivano nella forma attesa. Anziché domandarsi il perché di tale mancata corresponsione, interrogazione che segnalerebbe l’attitudine ad uscire da se stessi per guadagnare una visione dell’altro non inquinata da ciò che si vorrebbe da lui, egli si incaponisce nel lamento e nella domanda insistente di presenza.
Così facendo perde non solo l’occasione di capire l’assetto mentale ed emotivo della persona con cui ha a che fare, ma anche quella di chiedersi conseguentemente che cosa lui stesso voglia veramente. Questa seconda faccenda è la più spinosa da affrontare perché va oltre l’ovvio, oltre il semplice <<voglio essere amato>>.
<<E perché allora ho così tanto bisogno di essere amato? Da dove viene quest’esigenza perentoria? Il mio è amore per la particolarità dell’altro o fissazione ad un modello ?>>. Porsi interrogativi simili costituisce il passo successivo, quello che, se si verifica in analisi, può aprire un varco nel muro dell’evidenza.
L’innamorato deluso in questa maniera si trasforma in qualcuno che guarda in faccia la vera delusione che pertiene al passato e che ancora brucia nel profondo, dandosi la chance nel tempo di venirci a patti, di accettarla e di perdonare colui o colei che primariamente l’ha inflitta.
Viste alla luce di questi elementi le aspettative non sono altro che tentativi di compensazione nel presente di ferite di ieri, oppure semplici repliche di schemi relazionali validi in famiglia ma totalmente inadeguati al di fuori. I personaggi della vita attuale non sono gli stessi dell’infanzia. Pur avendo magari dei tratti in comune con essi non li ricalcano mai in tutte le sfaccettature.
Identificare i fantasmi
Così il discorso fatto per il fidanzato o la moglie delusi vale anche per chi, pur di fatto ricambiato, giudica il partner inadeguato perché magari povero, incolto o malato. Anche qui ci si aspetta qualcosa che non c’è, si teme un nemico invisibile nel reale ma ben presente nella propria testa. Interessante nuovamente è capire di che nemico si tratta, da dove viene e se vale la pena cominciare a contrastarlo.
Stesse considerazioni da farsi in ambiti relazionali che esulano dal discorso amoroso e che implicano comunque l’esistenza di aspettative: il lavoro (il capo rompiscatole, il collega sgarbato ecc..), l’amicizia (l’amico incostante), la socialità (il conoscente camaleontico o manipolatore).
Chi sono davvero queste persone nella realtà, perché agiscono in determinate maniere, quali sono le loro ragioni, i loro limiti, le loro impasse soggettive? Non le conosciamo? Ciò non vuol dire che non ci siano, dunque dobbiamo supporre una complessità nell’altro di cui non sappiamo niente. E soprattuto, come ci comportiamo noi con loro? Quale nostro nervo scoperto vanno involontariamente a toccare?
A questo punto si capisce come attraversare questi fantasmi porti ad una caduta delle attese ideali, potenziando sia il contatto con la realtà che la coscienza di se stessi. Poi le dimensioni della stima, della fiducia o quelle più misteriose dell’intesa e della telepatia devono senz’altro rimanere come possibilità preziose dei rapporti fra esseri umani. Ma esse non vanno date per scontate, non vanno considerate come diritti o garanzie ma come occasioni che possono o non possono verificarsi.
Riconoscere certe dinamiche non significa amarle, giustificarle, condividerle o avvallarle. Significa però vederle, non partendo dal vergine presupposto (ogni volta che si verifica un intoppo nella complicità con l’altro) che esse non debbano esistere del tutto. Altrimenti si cade nell’errore di legittimare il proprio lamento, finendo ogni volta nella trappola dell’illusione e del disincanto, dell’idealizzazione e della svalutazione violenta.