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Immersione nella natura e cura dell’anima

Il mare, la montagna o la semplice campagna, se vissuti non come mere evasioni estive, possono rivelarsi molto spesso delle vere e proprie cure rigeneranti per la mente. 

L’estate è il momento d’elezione per sfruttare a pieno le potenzialità terapeutiche del rapporto con la natura; tuttavia troppo spesso tale opportunità sfuma e si perde a causa di una errata modalità d’approccio allo stacco dal lavoro, che finisce per riproporre involontariamente dinamiche di stress tipiche della vita quotidiana. 

Quali sono gli errori che rendono il periodo estivo di congedo un momento ancora più tossico e faticoso rispetto alla vita di tutti i giorni? E quale poterebbe essere il segreto per trasformare la vacanza in qualcosa di creativo e benefico per l’equilibrio emotivo?

L’errato approccio alla vacanza 

Prima di progettare qualsiasi viaggio o prima di pensare ad una meta turistica sarebbe bene fare il punto della situazione rispetto a ciò che sta accadendo nella nostra vita attuale sul piano psicologico. Se ci rendiamo conto di attraversare un momento particolarmente delicato, a causa di problemi sul lavoro, difficoltà con il partner o con i figli, lutti, malattie ecc… bisognerebbe lasciare stare tutte quelle situazioni che prevedono organizzazione, ritmi serrati, socialità continua e mobilità prolungata. 

La vacanza andrebbe progettata con il preciso scopo di ritagliarsi un momento di riflessione e di stacco totale rispetto alla routine, in modo da potersi concentrare su quel dolore o su quel malessere che durante l’anno non ha trovato adeguati luoghi di espressione e contenimento. Anche se si sta seguendo una terapia psicologica sarebbe bene comunque non sottovalutare il proprio stato di fragilità e approfittare delle ferie per consolidare alcune acquisizioni del lavoro terapeutico, privilegiando dunque la tranquillità rispetto al movimento e all’avventura. 

Il contatto con la natura infatti deve avvenire secondo precise modalità per poter essere lenitivo delle ferite dell’anima, altrimenti rischia esso stesso di trasformarsi in qualcosa che provoca turbamento e angoscia anziché pacificazione e distensione. Non è da dimenticare inoltre come certi tipi di “full immersion” all’insegna del movimento e dello sport necessitino di specifiche preparazioni fisiche, che non si possono sottovalutare o improvvisare. 

L’obiettivo ideale per una vacanza-terapia è dunque un luogo sufficientemente isolato, in cui sia possibile apprezzare qualcosa dell’ordine dell’incontaminato, potendo comunque fruire dei minimi confort a cui si è normalmente abituati per evitare l’effetto, per molti ansiogeno, di un eccesso dell’elemento selvaggio (insetti, animali, sporcizia, temperature estreme, odori troppo forti ecc…).

L’impatto dalla città al luogo (marino o montano che sia) particolarmente selvatico può essere shockante; la possibilità di entrare in contatto anche con gli elementi meno bucolici della natura fruendo comunque di zone di sicurezza in cui potersi rifugiare è fondamentale affinché lo stacco dalla civiltà non si riveli ancor più nevrotizzante. 

I piccoli paesi disseminati sul nostro territorio (che siano al nord, al centro o al sud Italia poca differenza fa) in quest’ottica offrono moltissimo: accesso diretto alla natura ma anche confort di base essenziali; pace, tranquillità eppure al tempo stesso una minima socialità, spesso assicurata dallo sguardo benevolo degli anziani “autoctoni” , felici di vedere finalmente qualcuno di diverso rispetto al solito entourage.

Che cosa cura? 

I colori, gli odori, i sapori, i silenzi della campagna favoriscono il rilassamento della mente, il suo svuotamento assoluto, la sua pace. La frenesia, la corsa, il confronto continuo con l’orologio sono aboliti. Sospeso l’incalzare del tempo, che distoglie dal dialogo interiore e dal confronto vero con sé stessi e con i propri vissuti profondi, nel vuoto di impegni e nella pienezza viva della vegetazione, delle brezze, dei cieli diventa possibile toccare con mano quel dolore a cui non si è dato abbastanza retta, quell’insoddisfazione, quella mancanza troppo a lungo schiacciata dalla pressa della routine. 

Cosa farsene di un contatto simile? Se per fare intendiamo qualcosa di operativo allora poco o nulla. Ma qualcosa può  accadere lo stesso anche senza che si debba fare proprio nulla e questo è il caso.

Così procedendo, senza fare nulla di particolare, si possono riagganciare ricordi che sembravano dimenticati, sviluppare spontaneamente nuove idee per il futuro, rilanciare dei progetti a cui si era rinunciato.

In una parola, immergersi nella natura vuol dire svegliarsi di colpo, svegliarsi sul serio, sentirsi nuovamente vivi, vibranti, fatti di materia e di sogni.

Ritroviamo le nostre radici terrene, il nostro sentire smarrito. Qualcosa che si chiama felicità si fa vedere, per un attimo, per poi scappare via. Forse quella felicità che da bambini si legava alle cose semplici, elementari e vive, da cui piano piano ci siamo allontanati per inseguire falsi miti o, peggio di tutto, solchi già tracciati, sogni indotti, sogni degli altri.

La soluzione all’inquietudine così messa a nudo non sarà allora tout court trasferirsi in campagna, mollare tutto e darsi alla vita agreste, come si potrebbe pensare, ma portarsi al contrario  la campagna in città o ovunque si faccia ritorno. Portarsi cioè un po’ di quella rivelazione avuta nel bel mezzo di un campo di grano o durante una notte fra le mura di pietra della propria stanzina.

La vita vera è elementare, fatta di piccole cose, piccoli gesti e attenzioni. Se non si può smettere di correre, si può rallentare, si può cercare il proprio ritmo e cominciare a difenderlo dall’invasione di tutto ciò che al fondo non sentiamo davvero nostro.

Il nostro mondo possiamo, in parte, costruirlo noi, senza dover per forza cedere alla massificazione dei bisogni e delle aspirazioni indotte.

Disagio contemporaneo