Il problema della coscienza di sé nei disturbi della personalità
Molte delle problematiche relative ai disturbi di personalità del così detto cluster b, come la disregolazione delle emozioni, la dissociazione mentale e la tendenza depressiva, sono ascrivibili ad un mal funzionamento dell’Io. Cosa si intende per Io, qual è la sua costituzione “sana” e in cosa difetta la sua strutturazione in un soggetto borderline?
L’Io sano e l’Io patologico
L’Io coincide con la rappresentazione che ciascuno di noi ha di se stesso. L’Io sano tendenzialmente è caratterizzato da un’immagine stabile e positiva, da ciò che potremmo definire come “coerenza soggettiva”, ovvero quel senso di continuità e capacità di adattamento che consente di restare se stessi senza smarrimenti pur nell’evoluzione, nelle circostanze mutevoli della vita e nonostante la convivenza con la parte più inconscia e “ribelle”.
Quando si evidenzia una problematica a livello dell’io senza che vi sia dietro un conflitto inconscio di solito ci troviamo di fronte a due ordini di malfunzionamento. Da una parte la rappresentazione di sé può essere troppo poco strutturata, dando luogo a frammentazione, confusione, irruzione selvaggia di elementi inconsci e dunque a perdita di un senso di continuità. Al contrario, se tale immagine di sé è troppo rigida, essa impedisce quella flessibilità necessaria per adattarsi alle situazioni pur mantenendo la propria integrità e specificità.
La paranoia come meccanismo di difesa
L’espressione verbale delle persone che soffrono di disturbi della personalità risente molto di questo aspetto, nella misura in cui le loro narrazioni possono risultare oscure, confuse, frammentate oppure intrise di egocentrismo. In ogni caso chi ascolta si confronta con un discorso che riflette una forma di pensiero primitiva, in cui prevale l’aspetto dicotomico e proiettivo. Ciò indipendentemente dall’intelligenza della persona, che può essere anche di grado elevato (soprattutto in campi tecnici, nei quali non è richiesta una competenza introspettiva).
Appare chiaro allora come un deficit a livello dell’io implichi per compensazione un massiccio ricorso a meccanismi di proiezione, che vanno a ledere una visione lucida di se stessi, delle relazioni e dell’ambiente circostante. Da ciò deriva la conseguente perdita della possibilità di incidere significativamente sulle cose potendo realizzare obiettivi stabili nel tempo.
Inoltre spesso il soggetto borderline finisce per attribuire all’altro delle intenzioni solamente sulla base dell’effetto che il suo comportamento provoca in se stesso, con la conseguenza che il mondo si riempie di minacce inesistenti che, oltre che a perturbarlo emotivamente, lo portano pure costantemente fuori strada rispetto alla condotta da mantenere.
Disregolazione emotiva, depressione e dissociazione
Si spiega così perché la depressione tipica dei disturbi della personalità si alterni anche più volte nella stessa giornata a momenti di euforia, senza che tra il momento “basso” e quello “alto” intercorra un intervallo di tempo di una certa durata. La frammentazione e caoticità dell’io si riflettono così nei tracolli nervosi, mentre l’ipertrofia dell’io dà luogo a pensieri grandiosi e atteggiamenti di natura maniacale.
Ecco perché l’idealizzazione di cose e persone è indissolubilmente associata ad una loro successiva svalutazione senza scampo, senza che sia possibile problematizzare ciò che sta accadendo nella propria mente. La dissociazione psichica, che tiene separate tramite scissione le parti buone e quelle cattive di sè, riguarda anche l’oggetto, un tentativo paradossale e disperato di evitarne l’abbandono e il rifiuto.
La terapia e lo sviluppo di capacità di mentalizzazione
Se si ipotizza un deficit dell’io alla base del disturbo di personalità, inteso come deficit di quella che viene comunemente chiamata “coscienza di sé”, si può pensare che la terapia possa incidere aiutando il paziente a rafforzare proprio tale funzione psichica alterata.Bisogna cioè supportare il borderline nella sua capacità di pensare, non tanto a livello astratto di massimi sistemi, ma molto prosaicamente nella codifica del suo mondo interno.
Quali sono i principali obiettivi su cui concentrare il lavoro psicoterapeutico?
Innanzitutto puntare sul riconoscimento delle emozioni e dei pensieri che sotterraneamente lavorano dietro a un determinato stato mentale, riuscire a vedere le vere motivazioni che innescano i comportamenti su cui si percepisce di non avere il controllo, cogliere le relazioni fra i pensieri e le emozioni sono tutte acquisizioni che rafforzano la fragile coscienza di sé del paziente, diminuendone la sensazione di trovarsi a brancolare nel buio in un mondo ostile.
Altrettanto importante è puntare sul fare ordine rispetto a quelli che sono i processi psichici più rilevanti, in modo da darsi obiettivi chiari e ragionevoli e capire quelle che sono le priorità.
Non da ultimo bisogna, per quanto si può, tentare di promuovere nell’assistito lo sviluppo del suo embrionale principio di realtà, spronandolo a differenziare la realtà dalla fantasia. Ciò può portare allo sviluppo di una distanza critica minimale rispetto al mondo interno, ipotizzando che le proprie credenze possano essere anche false.
Cogliere la limitatezza della propria visione andrebbe sempre dissociato dalla percezione di una propria inadeguatezza personale, valorizzando l’importanza di conoscere gli errori al fine di una più completa maturazione personale.
Tale lavoro va di pari passo con la moderazione degli aspetti proiettivi, così da poter lasciare spazio anche alla percezione degli stati mentali dell’altro e da salvare e preservare relazioni significative e importanti.
È utile in questi casi anche non tralasciare le strategie concrete di gestione delle acuzie. Imparare ad auto regolare gli stati problematici della mente tramite delle strategie comportamentali ha il suo senso anche all’interno di un percorso dinamicamente orientato.
Il paziente può imparare l’importanza di interrompere i circoli viziosi in cui il suo malessere naturalmente lo spinge, chiedendo per esempio aiuto durante determinati momenti complessi della vita oppure richiamando alla memoria le ricostruzioni avvenute in psicoterapia e i suggerimenti dati per operare dei tagli e degli stop volontari.
Tutto ciò naturalmente appare possibile quando è presente una forte volontà di miglioramento unitamente ad una presa d’atto dei propri problemi.
Un buon transfert permette di gestire le turbolenze emotive facendole pure diventare occasioni di conoscenza e di successiva analisi, per mettere a fuoco con maggiore efficacia determinati meccanismi patologici.
Più difficile invece è incidere laddove l’aderenza tra la persona e i suoi sintomi è molto forte, caratteristica tipica di molti (ma fortunatamente non di tutti) quadri di patologie del carattere.