La sfiducia in se stessi
La sfiducia in se stessi è uno degli ostacoli mentali più difficili da superare, soprattuto quando non solo affonda radici profonde nell’infanzia ma è stata anche la cifra di molte scelte e situazioni subite durante gli anni della maturità.
In alcuni casi la bassa autostima ha paralizzato l’infanzia con convinzioni errate rispetto alla propria persona (spesso dipendenti da figure di riferimento frustranti) per poi lasciare spazio in adolescenza e durante la giovinezza ad una progressiva scoperta di sé e delle proprie potenzialità.
Un fondo di insicurezza permane, ma resta mitigato dal rinforzo positivo degli anni successivi, fortemente strutturanti la personalità. Una crisi può far riaffiorare antichi sentimenti di impotenza, ma essa può venir trattata in psicoterapia abbastanza facilmente proprio grazie al buon sostrato di coscienza di sé.
L’insicurezza cronica
Gli insicuri cronici invece è come se avessero passato la maggior parte della vita con la testa sott’acqua. Capita che ad un certo punto si sveglino, per motivi vari, iniziando a vedere la propria esistenza come una concatenazione di eventi voluti per compiacere gli altri, per adeguarsi ad una così detta norma (spesso questo vedere coincide con una richiesta di aiuto, che può preludere a cambiamenti anche sostanziali).
Avere stima di sè non vuol dire nutrire un sentimento esagerato rispetto al proprio valore, né tantomeno comporta la negazione dei propri punti di fragilità, ma significa sostanzialmente essere in connessione con i propri gusti, inclinazioni e desideri. Da tale contatto non derivano rifiuto o negazione, ma accoglienza positiva e sensazione di accordo interiore.
L’insicurezza quindi da questo punto di vista appare primariamente come frutto di una confusione o di una conflittualità interiore, legata al non riuscire o al rifiutarsi di “vedere” e di “fare” con quello che c’è. L’inseguimento dell’ideale ingombra così tanto da imprigionare nello sguardo dell’altro, un altro impersonale che giudica o impone modelli e norme di pensiero e di comportamento.
Lasciarsi essere è impossibile, ogni decisione dalla più banale a quella più complessa provoca molta angoscia perché il rimando a ciò che si vuole profondamente non è assumibile, prevalendo invece la soluzione di comodo che accontenta tutti.
Anche esprimersi viene imprigionato in cliché, nella misura in cui è onnipresente la ricerca dell’opinione favorevole dell’altro nei confronti di ciò che si pensa e si dice.
“Non ce la faccio” o “è impossibile” sono frasi tipiche dell’insicuro, che, messo di fronte alla necessità di tenere duro rispetto ad un obiettivo che potrebbe essere davvero personale, fallisce nel riconoscerne l’importanza vitale, rifugiandosi nell’errata convinzione di non esserne all’altezza. I desideri veri restano delle astrazioni, dei puri ideali che “piacerebbero” ma sono “ ormai impossibili” perché provare ad agganciarli significherebbe mettersi alla prova nella realtà e andare verso un ignoto non garantito da nessuno.
Così il cambiamento è sfuggito in tutte le sue forme, mentre la possibilità di arricchirsi e di conoscersi sempre di più attraverso nuove esperienze viene persa.
Anche nelle relazioni l’insicurezza provoca molto disagio, perché porta a sopportare comportamenti e modalità relazionali soffocanti. Le relazioni non sono “scelte” ma per lo più subite. Nella misura in cui l’insicuro cerca sempre conferma nell’altro più che nelle sue intuizioni e sensazioni, di fronte ad una difficoltà di relazione pensa sempre che l’errore e la colpa siano a suo carico, restando invischiato in situazioni logoranti.
In realtà sostare in rapporti disfunzionali comporta sempre una propria responsabilità; l’insicurezza però induce a scambiare la responsabilità con la colpa, scotomizzando le dinamiche più sottili e riconducendo tutto il malessere provato ad una qualche propria insufficienza.
D’altro canto, proprio perché difetta un aggancio solido con il proprio volere e sentire, non manca l’aggressività proprio verso quell’altro che si tenta di compiacere e a cui si riconosce l’autorità. Può instaurarsi, proprio nell’insicuro più remissivo, una modalità malata di auto affermazione, malata perché violenta.
La persona che si conosce e si accetta così com’è vuole essere rispettata e offre il rispetto, allontanandosi da situazioni che fanno stare male. Mentre quella irrisolta, siccome non rispetta sè stessa, finisce col non farlo nemmeno con gli altri, oscillando nei rapporti fra la sottomissione e l’aggressività compensatoria. Il suo moto aggressivo è un falso movimento di liberazione: la liberazione vera avviene sempre grazie ad una alleanza con sé stessi, mai “contro” l’altro.
La psicoterapia
La psicoterapia in questi casi procede non senza difficoltà. L’importante è che il terapeuta mostri, con la sua capacità di stare, un approccio diverso all’esistenza, tenace, concreto, positivo.
Con garbo, ma anche con fermezza, quando riterrà che il momento sia quello giusto, porterà il paziente a vedere le dinamiche che lo tengono in scacco. Non una volta soltanto. Il processo implicherà tempo, una rivisitazione del passato, intuizioni, schiarite e poi chiusure difensive, momenti di scoraggiamento e di bonaccia.
Ma alla lunga, piano piano, se nessuno abbandona la nave, tutto il lavoro di elaborazione sedimenta, finché all’improvviso qualcosa cambia.
Una decisione finalmente soggettiva viene presa e, soprattutto, al di là del venire mantenuta e sostenuta nel tempo, essa segna un prima e un dopo. Essa prelude cioè a un tempo nuovo, in cui gli schemi del passato non hanno più la stessa presa e la vita comincia ad essere finalmente vissuta in prima persona.
Il freno della compiacenza verso l’altro non cesserà mai del tutto di fare interferenza ma la consapevolezza acquisita verrà in aiuto là dove l’inconscio tenterà, anche con successo, di riportare indietro.