Skip to main content

Il valore dell’indipendenza

Coltivare una buona indipendenza emotiva e di pensiero ha un’enorme importanza ai fini della stabilizzazione dell’equilibrio psichico di ciascuno di noi. 

Ciò non si deve tradurre concretamente come un fare a meno tout court della relazione, del rapporto di aiuto, di scambio e di arricchimento dato dal contatto con l’altro.

Indipendenza e legame con l’altro 

L’indipendenza infatti, se da un lato non si correla necessariamente all’isolamento, dall’altro abbisogna comunque della possibilità di tollerare la solitudine e di mettere alla prova sé stessi senza reti protettive. 

Essa implica un certo grado di distacco dall’altro ma non coincide né con la rottura del legame né con la sua svalutazione. 

In psicoterapia il tema dell’indipendenza è affrontato quasi sempre proprio per la centralità che essa assume nella percezione di un possibile sentimento di benessere e di pace, da contrapporre all’inquietudine e all’ansia ingenerate da rapporti e situazioni troppo condizionanti. 

Molto malessere origina infatti dalla sensazione di trovarsi all’interno di rapporti, contesti lavorativi o sociali che si strutturano come delle “gabbie emotive”, da un lato rassicuranti ma dall’altro frustranti e deprimenti rispetto a un sentimento autenticamente vitale.

La dinamica della dipendenza 

Ogni dipendenza infatti si struttura intorno a bisogni profondi di sicurezza e di riparo, il cui appagamento però si salda indissolubilmente alla soppressione di ogni moto, desiderio, stimolo o semplice punto di vista al di fuori del raggio di influenza dell’oggetto della dipendenza. 

È proprio per via dell’aspetto lenitivo e contenitivo offerto dall’oggetto che diventa difficile rompere le catene e liberarsi. I pro del legame esclusivo sembrano superare i contro, così che lentamente essi si riducono in favore del malessere sordo e mortificante della sudditanza psicologica.

Molte persone che hanno attraversato il tunnel della dipendenza e ne sono riuscite ad uscire  sviluppano come reazione una sorta di indipendenza “difensiva”. La psicoterapia è indicata anche in questi casi, perché appunto la risposta non può essere la negazione del legame.

I bisogni di dipendenza sono umani e non vanno assolutamente disprezzati. 

Purtroppo oggi si tende ad affermare un ideale di distacco e di superiorità rispetto al coinvolgimento profondo dell’amore, come se fosse quest’ultimo il problema. 

Ma ciò non fa altro che rinforzare i comportamenti dipendenti patologici, nella misura in cui gli estremi sono sempre la manifestazione dello stesso problema di fondo. 

Il punto non è demonizzare il bisogno umanissimo di accoglienza, conforto e benessere ma riuscire a vedere là dove esso si profila come una vera e propria fuga dalle responsabilità o dalle paure, un incollamento infantile  all’altro  anziché come un istante felice o un sentimento interiore che si può custodire dentro di sè anche nel deserto.

Dipendenza malata vuol dire fuga dalla messa alla prova di sé stessi,  rinuncia a mettersi in gioco,  barattare la libertà con la promessa di un’ideale tranquillità non intaccata da pericoli e turbolenze.

L’amore sano per una persona, per un lavoro, per un’attività creativa o per un progetto sociale non è in quanto tale una gabbia, anzi, nello stesso momento in cui accoglie e rinfranca sprona a dare il meglio, permette e non ostacola il processo di affinamento e arricchimento interiore a cui ogni esistenza può auspicabilmente andare incontro.

Nella dipendenza patologica prevale invece un progressivo distacco dal mondo, con il relativo correlato depressivo e autodistruttivo, mortificante in tutti gli ambiti esistenziali.

Trattamento psicoterapeutico della dipendenza 

In terapia non si tratta allora di spronare ottimisticamente con slogan inneggianti una supposta autonomia esente da bisogni e fragilità umane. 

Non si mira a far scivolare nell’eccesso opposto, nella negazione dei sentimenti di dipendenza, nel miraggio del controllo o peggio nel rovesciamento di posizioni per cui il dipendente punta a diventare colui che genera dipendenza. 

L’obiettivo è quello di andare gradualmente alla ricerca della radice del problema, per capire e metabolizzare le ragioni che hanno determinato la fuga. 

La paura del mondo, della vita, dell’imprevisto ha delle precise determinazioni. 

Infondo la fragilità principale del dipendente è l’insicurezza, il non avere coscienza di ciò che è realmente capace di fare e di costruire contando sulle proprie forze e risorse. 

Spesso nelle storie di vita emergono legami familiari molto intensi, connotati da fratture e aspettative che non hanno incentivato l’autonomia ma fomentato la paura. Anche l’adolescenza, momento cruciale di definizione di sé, può essere stata messa in ombra da legami familiari ancora troppo ingombranti e richiedenti, con l’effetto di un blocco nella conoscenza e coscienza di sé. 

In psicoterapia oltre all’individuazione dei perché si può allora creare via via spazio per l’emergenza di un’autenticità non viziata da aspettative o costrizioni, in un clima di fiducia e supporto non vincolante.

L’importante è che nei percorsi terapeutici non venga avvertita nessuna forma di aspettativa, così che il terreno “psichico” su cui ci si muove predisponga alla crescita spontanea di qualcosa, che nel tempo verrà messo a fuoco sempre meglio e apprezzato come un dono da poter finalmente spendere per quello che è.

Aiuto psicoterapeutico