Come recuperare dopo una relazione traumatica
Esistono relazioni sentimentali che nel complesso si configurano come dei veri e propri traumi, ovvero come degli eventi in grado di far vacillare, compromettere o addirittura far crollare l’equilibrio emotivo personale.
Dinamica del trauma relazionale
Il trauma a rigore è qualcosa di dirompente, in grado di spezzare, squarciare e sconvolgere repentinamente una sicurezza data per scontata.
Esso segna uno spartiacque fra un prima e un dopo, mettendo alla prova le difese psichiche al punto tale da essere vissuto senza consapevolezza piena, senza dolore o senza emozioni correlate.
Dopo l’angoscia, o addirittura al posto di essa, possono subentrare freddezza e distacco, segno dell’impossibilità del trauma di essere considerato come un contenuto della mente e un oggetto rappresentabile.
Le relazioni traumatiche contengono sempre al loro interno un primo momento traumatico vero e proprio, ovvero una situazione totalmente naspettata di brusca rottura col prima.
Il rapporto procede in una certa maniera, all’insegna di vissuti positivi e fiduciosi, e, all’improvviso, senza avvisaglie o campanelli d’allarme, nel luogo del partner amorevole irrompe un elemento che va a fratturare tali percezioni. In genere si tratta di attacchi aggressivi, di sparizioni, chiusure o mutismi punitivi, a cui non seguono chiarimenti bensì atteggiamenti colpevolizzanti, manipolatori e svilenti.
Come avviene nel campo del trauma, la persona può restare così sbalordita da quanto accaduto da allontanare dalla coscienza i vissuti penosi, relegandoli più o meno consapevolmente in un angolo della mente. A questo livello regna sovrano il meccanismo della negazione, le difese personali non sono ancora in tilt ma si stanno creando le condizioni per l’usura futura.
A tale primo incontro traumatico, che viene accantonato ma non realmente elaborato e superato, ne seguono infatti tanti altri.
I micro traumi ripetuti, vissuti tutti senza possibilità di risveglio, sono in grado di deteriorare progressivamente lo stato emotivo di colui che ormai si trova “vittima” di una situazione su cui non può più esercitare alcun controllo.
L’intensità dei danni psicologici indotti da queste relazioni tossiche varia in base al grado di forza dell’Io della persona che si trova nei panni della vittima. Più le sue risorse psichiche sono sviluppate, più resta conservata una qualche possibilità di elaborazione, almeno a mente fredda.
Più invece esistono delle fragilità e attitudini alla dipendenza che prescindono dal cattivo incontro, più aumenta la probabilità di un vero e proprio “crollo” psichico, caratterizzato da vissuti depressivi e da totale disistima di sé.
In tutti i casi tuttavia, anche in quelli più leggeri, analogamente a quanto succede con i traumi psichici nei confronti dei quali si arriva ad un buon livello di integrazione, restano delle cicatrici.
La terapia nella relazione traumatica
La terapia aiuta a recuperare consapevolezza là dove essa scivolava via, dunque si pone come un argine rispetto alla perdita di senso.
Ricostruire i perché è utilissimo nella misura in cui contrasta la tendenza a lasciare che gli eventi in sé profondamente dolorosi vengano dissociati dalle emozioni, mandando in arresto tutto il sistema emotivo della persona e consegnando a una sorta di “anestesia generale” .
Nello stesso tempo chi chiede aiuto ha bisogno di affacciarsi gradualmente a certe verità, dato che l’incontro con le emozioni può risultare come un’ondata violenta che trascina via.
La sensibilità dell’analista risulta cruciale per saggiare le possibilità di tolleranza soggettive e per modulare l’intensità del lavoro sulle difese.
Anche il fattore “durata” è da tenere in considerazione ai fini del recupero. Maggiore è il tempo trascorso all’interno della relazione tossica più lungo è il decorso della “guarigione”.
È essenziale in queste circostanze darsi il giusto tempo, senza scoraggiarsi se i passi in avanti si vedono ostacolati da cedimenti ed involuzioni.
La vera svolta subentra quando si è in grado non solo di contrastare la colonizzazione della vita emotiva da parte del “non senso”, ma anche di vedere la propria parte, ossia le fragilità che hanno consentito l’instaurarsi della dinamica malsana.
Riuscire piano piano ad affrontare certe debolezze, certe questioni irrisolte senza soffrire eccessivamente nell’ autostima, aiuta moltissimo ai fini del recupero ma soprattuto della possibilità di rottura della ripetizione.
Spesso infatti chi cade vittima di relazioni traumatiche tende a rientrarvi, in un circolo di ripetizione fatale. Non raramente tale tendenza alla ripetizione è causata da un genitore che è stato ai suoi tempi traumatico; ripetere ha il sapore della ricerca di un sostituto, si svela come un tentativo di correzione di figure affettive interne (candidato sempre allo scacco).
Si capisce allora che certi incontri non sono voluti dal caso o dal destino, ma proprio dalla volontà inconscia di sistemare i conti in sospeso col passato. I partner dalle caratteristiche “traumatiche” non “capitano” ma sono scelti, isolati fra gli altri proprio in virtù di quel tratto così doloroso e frustrante.
Elaborare bene assicura allora una maggiore protezione dai cattivi incontri, che si sostanzia nella capacità di riconoscere in anticipo certi segnali disfunzionali, spesso prodromi di quelli che poi inseguito risultano modalità traumatiche.
Lasciare andare è il vero segno della guarigione avvenuta e della leggerezza ritrovata, non a partire da una razionale soppressione ma nella trasformazione duratura dell’assetto psichico in precedenza mantenuto per anni.