Skip to main content

Mental break down: cause, rischi e potenzialità

Nel corso della vita andare incontro ad un “mental break down” (volgarmente definito esaurimento nervoso) significa sperimentare un doloroso spartiacque fra un “prima” e un “dopo”, che in alcuni casi lascia ferite aperte difficilmente sanabili. 

Si tratta di uno stato mentale ed emotivo di profondissima crisi, di durata non trascurabile, in cui le più banali certezze su cui mediamente le persone fanno affidamento vengono meno. 

Il crollo mentale infatti si caratterizza per la brusca o progressiva incapacità di sostenere le scontate attività quotidiane, dalla semplice cura di sè, alla gestione delle incombenze familiari e lavorative. 

Lo scivolamento nella paralisi  si accompagna a umore depresso e agitazione, mentre la capacità espressiva sul piano verbale si impoverisce, inabissandosi nel mutismo o in un’ossessiva ripetitività di temi.

Il blocco sul piano comunicativo riflette il sottostante arresto a livello del pensiero, prigioniero di “loop” e confusi accavallamenti di idee che lasciano il posto a sfinimento e ottundimento mentale. 

Ma è il sentimento di paura a qualificare il vissuto principale del mental break down: la persona non si riconosce più, sente che la sua mente e la sua emotività stanno andando fuori controllo, ritrovandosi a tu per tu con l’inquietante e indescrivibile esperienza dell’uscita da una zona comune d’appartenenza.

I rischi del crollo psichico 

Questo scollamento estraniante può assumere varie forme, fino ad arrivare a un vero e proprio crollo psicotico, in cui compaiono esperienze allucinatorie o idee di carattere delirante. 

Lo scompenso può essere transitorio, ricomporsi in poche ore o giorni o protrarsi più a lungo, a volte purtroppo cronicizzandosi senza possibilità di ripristino dell’integrità precedente alla crisi. 

Il riconoscimento e l’intervento tempestivo del curante sono cruciali ai fini di un buon recupero. L’aumento della frequenza e della durata delle sedute ai primi segni di cedimento in genere permette  di evitare scompensi gravi e ospedalizzazioni. 

Un robusto lavoro di elaborazione, che procede pazientemente al ritmo delle possibilità del paziente, fornisce quel supporto in grado di aiutare ad integrare tematiche già affrontate in terapia su un piano più razionale. 

Le cause profonde e le potenzialità della crisi

Ma quali sono le cause che inducono al crollo una persona che tutto sommato si è sempre barcamenata tra alti e bassi? 

Perché  poi tali crisi si verificano anche quando una persona si trova già in terapia? 

Le cause sono sia remote  che contingenti. C’è sempre, alla base di un crollo, qualcosa di contingente che accade nella realtà attuale, qualcosa in grado di riattivare un trauma latente mai del tutto superato.

La terapia analitica inoltre può paradossalmente rendere più vulnerabili a questo tipo di esperienze perché, agendo sulle difese nel senso di un loro allentamento, favorisce l’emergenza di materiale per così dire sigillato.

Nei casi di strutture di personalità più fragili questo tipo di lavoro può far venir meno strumenti essenziali a garantire il “buon ordine”, esponendo all’incontro con qualcosa con cui non si è ancora del tutto preparati a fare pienamente i conti.

L’abilità del clinico sta nel calibrare il lavoro in base alla valutazione del livello di fragilità del suo assistito, cruciale per evitare la slatentizzazione di psicosi ben compensate.

Ma, a parte le situazioni più estreme, un certo scombussolamento legato all’analisi non può essere mai del tutto aggirato.

Per questo un crollo psichico in corso d’opera, riconosciuto e trattato adeguatamente, può anche dare un impulso ulteriore all’analisi.

Prendiamo il caso di un uomo con un Io abbastanza forte che si è sempre tenuto alla larga dall’amore per via di un complesso vissuto infantile in relazione alla figura materna.

Capita che nel corso della sua analisi (grazie alla quale smette di ricorrere alle difese e di evitare il coinvolgimento sentimentale) egli conosce una donna e per la prima volta nella sua vita si innamora.

L’analisi procede bene, sembra un successo ma accade che la donna in questione decide di interrompere la relazione col paziente innamorato. 

Tale contingenza si rivela in grado di innescare il break down nella misura in cui riattiva il trauma dal quale l’uomo si era difensivamente tenuto alla larga tutta la vita, il trauma di venire abbandonati nel pieno della dipendenza affettiva (all’epoca dalla madre).

L’uomo, dall’ottimo funzionamento sociale e lavorativo, generalmente lucido e ben in controllo di sè, si ritrova letteralmente a pezzi. Non è più nemmeno in grado di alzarsi dal letto.

Cosa è successo? La questione dell’abbandono, solo superficialmente e razionalmente affrontata in analisi, lo investe, letteralmente. 

Ora questa botta fortissima, se presa in tempo prima che le vecchie difese si rinsaldino nuovamente rinchiudendo l’uomo in un mondo ancora più asettico di prima, può fornire l’occasione per finalmente attraversare il trauma, mettendo in contatto con il dolore, con l’indifesa natura di bimbo lasciato solo, impaurito e arrabbiato.

La coscienza così raggiunta, potenziata dall’aumentata disponibilità del paziente in crisi ad accogliere veramente certe verità, non può ridare l’amore perduto ma nel tempo finisce per lasciare spazio ad un nuovo oblio.

Dimenticare, dopo un break down che ha trovato supporto in psicoterapia, non è  più un processo  basato sulla rimozione. Esso ora si fonda sul lasciare andare, veramente.

Così l’uomo che ha perso l’amore può permettersi di soffrire senza più disperazione. Può vedere tutti i suoi sabotaggi autoprotettivi, gli errori e le cecità e giungere ad integrare l’abbandono della donna come quella tappa dolorosa ma necessaria ad aprire gli occhi su se stesso.

Male oscuro, Aiuto psicoterapeutico